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"Chiudere il cracking significa penalizzare l’intero sistema industriale italiano, condannando il Paese e l’Europa a rinunciare alla chimica di base, con conseguenze gravissime sul futuro produttivo ed occupazionale di Brindisi". Così il segretario generale della Cgil di Brindisi, Massimo Di Cesare, nel suo intervento all’incontro promosso dalla Regione Puglia sulle crisi industriali, convocato in vista del tavolo del 5 marzo con il ministro Adolfo Urso. Un momento di confronto che ha riunito istituzioni, sindacati e sindaci per affrontare i nodi che riguardano Eni Versalis di Brindisi, Acciaierie di Taranto, Leonardo di Grottaglie e Foggia, insieme al comparto automotive. Tutte vertenze che in Puglia coinvolgono oltre 6.000 lavoratori.
"Abbiamo apprezzato l’attenzione e la vicinanza dimostrata dal presidente Michele Emiliano verso la nostra comunità e verso i lavoratori – ha continuato Di Cesare – ma riteniamo indispensabile che la Regione Puglia, insieme a tutte le istituzioni coinvolte, assuma un ruolo determinante a sostegno delle politiche industriali e dei processi di transizione in atto".
Una battaglia per il futuro industriale
Il segretario ha poi ricordato la ferma contrarietà della Cgil Brindisi alla chiusura del cracking Eni Versalis, decisione presentata a gennaio al Mimit e immediatamente contestata dal sindacato a livello nazionale e locale. "Non stiamo difendendo il passato, ma il diritto di questo territorio ad avere un futuro industriale – ha aggiunto Di Cesare – e chiudere il cracking significa non solo perdere posti di lavoro, ma compromettere ogni possibilità di reindustrializzazione e di rilancio del sito brindisino". Di Cesare ha ricordato le mobilitazioni organizzate dalla Cgil, a partire dalla manifestazione del 17 febbraio scorso, molto partecipata, e l’iniziativa portata fino a Bruxelles per sensibilizzare le istituzioni europee sulle politiche industriali e sulla necessità di una transizione giusta.
L’impatto occupazionale
La Cgil Brindisi ha ricostruito, numeri alla mano, l’impatto occupazionale diretto e indiretto: "Parliamo di circa 1.200 lavoratori coinvolti per Enel e 1.400 per il petrolchimico, per un totale di oltre 2.600 famiglie che guardano al futuro con paura e rabbia". Una condizione che, secondo il sindacato, può essere affrontata solo con il riconoscimento di Brindisi come area di crisi complessa.
Responsabilità sociale d'impresa e bonifiche
"Dopo cinquant’anni di presenza sul territorio, Eni ed Enel devono assumersi la loro responsabilità sociale d’impresa – ha aggiunto Di Cesare – investendo concretamente sul risanamento ambientale, sulla forestazione urbana, sul sostegno all’energia verde per gli edifici pubblici e sul rilancio della cittadella della ricerca". Un punto centrale, ha sottolineato, riguarda la questione delle bonifiche: "Brindisi è un Sin, un sito di interesse nazionale, e prima di ogni progetto di reindustrializzazione è fondamentale capire quali aree siano effettivamente disponibili e bonificate".
Le richieste della Cgil per i lavoratori
Rispetto al futuro, Di Cesare è chiaro: "Gli investimenti, nella migliore delle ipotesi, non arriveranno prima di 36 mesi. In questo lungo periodo di transizione servono garanzie immediate per i lavoratori: ammortizzatori straordinari, integrazione al reddito, percorsi di formazione e riqualificazione professionale". Misure che, per la Cgil, sono possibili solo se Brindisi sarà riconosciuta come area di crisi complessa.
Mobilitazione nazionale contro la chiusura del cracking
"Ribadiamo la nostra adesione alla mobilitazione nazionale di Filctem e Cgil contro la chiusura del cracking – ha concluso Di Cesare – e confidiamo nel presidente Emiliano affinché porti al governo nazionale e a Eni la nostra voce e le nostre richieste di lavoro dignitoso, sicuro e stabile".