La data del prossimo incontro al ministero delle Imprese e del Made in Italy non è ancora stata resa nota ma la tensione è sempre più palpabile tra i lavoratori dei siti Eni interessati dal piano di riconversione industriale. La decisione di chiudere gli impianti di cracking di Brindisi e Priolo, con la promessa di riconvertirli in una gigafactory per accumulatori elettrici e una bioraffineria, ha sollevato profonde preoccupazioni tra i dipendenti e le comunità locali.

Le critiche arrivano da ogni territorio coinvolto, da Brindisi a Mantova, da Siracusa a Porto Torres, e pongono l’accento sulle gravi ricadute occupazionali, produttive e strategiche della scelta industriale.

Leggi anche

Entro la fine della settimana, l'impianto di Brindisi sarà ufficialmente “messo in conservazione”, ovvero fermato. Si tratta di uno blocco produttivo immediato, che segna l’inizio di una procedura di chiusura tecnica destinata a durare 15 mesi.

"Questa non è una riconversione: è una dismissione mascherata", sottolinea Gianfranco Murtino, segretario generale della Filctem Cgil Sassari. "Il piano di Eni Versalis non prevede investimenti reali nella chimica verde, come promesso. Si parla solo di efficientamento: non è transizione, è abbandono".

Preoccupazioni condivise da Antonio Frattini, coordinatore Filctem Cgil Puglia: "Affidarsi completamente all’approvvigionamento estero in un contesto geopolitico così instabile è estremamente rischioso. Rischiamo blocchi produttivi e vulnerabilità economica".

Il cracking – processo industriale che consente di trasformare idrocarburi pesanti come la virgin-nafta in composti fondamentali come etilene, propilene e butadiene – è il cuore della chimica di base, dalla quale derivano molte delle plastiche e dei materiali avanzati utilizzati in settori ad alta specializzazione. Con la chiusura degli impianti di Brindisi e Priolo, il sistema industriale italiano perde un nodo strategico.

"Non potremo più contare sulla miscela C4 – una frazione di idrocarburi contenente composti a quattro atomi di carbonio, tipicamente ottenuta come sottoprodotto del processo di cracking – e saremo costretti a comprarla all’estero", avverte Alberto Abbondanzieri, Rsu Filctem Cgil di Versalis Ravenna. "Una volta che i mercati sapranno che non produciamo più in Italia, i prezzi saliranno".

A Mantova, la situazione è già critica: "Il nostro impianto lavora al 60% e dipende dalle forniture di Priolo. Se queste si interrompono, ci fermiamo", denuncia Andrea Loddi, segretario generale Filctem Cgil provinciale .

Oltre ai chimici, la mobilitazione coinvolge anche i lavoratori degli appalti e della logistica. "Nei progetti Eni non c’è traccia del futuro per i lavoratori dell’indotto: pulizie, mense, trasporti", denuncia Claudia Nigro, segretaria generale Filcams Cgil Brindisi. E Floriano Zorzella, della Filt Cgil, avverte: "Questa decisione potrebbe lasciare a casa fino a 20.000 persone. È un impatto sociale che non possiamo ignorare".

Anche il segretario generale della Fiom Cgil, Michele De Palma, lancia l’allarme: "Senza una chimica di base nazionale, perdiamo sovranità industriale. La transizione energetica e digitale richiede una manifattura solida. Dismetterla è un suicidio industriale".

Angelo Sposato, segretario nazionale della Fillea Cgil, chiude il cerchio: "Eni non può abbandonare il Mezzogiorno dopo averne beneficiato per decenni. La chimica è un asset strategico, soprattutto per le aree fragili del Sud. Servono politiche industriali serie, non fughe".