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Avete presente Casal di Principe? Il Comune famoso per essere quello della camorra e dei casalesi? Ma anche il Comune di don Beppe Diana, il prete che ebbe la forza e il coraggio di denunciare dal pulpito e per lettera pastorale le infiltrazioni criminali? Renato Natale ne è stato il sindaco. Natale era un medico che si occupava di costruire legalità fornendo assistenza sanitaria ai migranti, anche “irregolari”, che stavano “sotto il pacchero” della criminalità camorristica e denunciando insieme a don Diana tutto ciò che non andava taciuto. Era amico di Diana. Dopo l’assassinio di don Beppe, è diventato sindaco di quella comunità che cercava un’occasione di riscatto.
Natale è stato fino a po tempo fa il sindaco di quella comunità e di quel territorio dove grazie al lavoro delle forze dell’ordine e dei magistrati il clan ha subito colpi durissimi. Nei beni di proprietà dei casalesi sono fioriti progetti ed esperienze che dell’economia circolare e del lavoro regolare e dignitoso hanno fatto la cifra dell’affrancamento e della costruzione di legalità.


La storia della Cooperativa Eva
Un gruppo di donne visionarie ma con i piedi ben piantati a terra, sono le anime della Cooperativa Eva che si occupa di donne sottratte alla tratta e alla violenza. Nel 2020 il gruppo partecipa a un bando della Regione Campania e apre una sartoria specializzata in manufatti di seta. Lo scopo è quello di creare un laboratorio che sia occasione di riscatto per le donne. Riscatto che passa dal lavoro dignitoso e, quindi, dall’autonomia economica.
“L’incontro con la Cooperativa Eva è stata la mia salvezza. Erano 8 anni che subivo violenze da parte di mio marito, 8 anni. Un giorno ero a Caivano e lì ho incontrato la Cooperativa che stava partecipando a una conferenza. È stato il mio treno e l’ho preso al volo”. Lo racconta Monica, che è stata accolta insieme ai suoi tre figli nella casa rifugio della Cooperativa, lì finalmente vive una vita tranquilla, senza botte ne violenze psicologiche. I bambini vanno a scuola, frequentano il doposcuola e pure il calcetto e lei si occupa di loro. Ha una voce serena e riesce a parlare del suo passato perché consapevole che è appunto passato e che adesso sta costruendo il suo futuro e quello dei suoi figli.
Le mani che fanno ricchezza
È stata Monica a chiedere di essere inserita in sartoria, “Io so cucire, ho imparato all'età di 11-12 anni. E loro mi hanno detto che si poteva fare, potevo lavorare a EvaLab. E io sono stata contentissima, il mio sogno è sempre stato cucire, sono stata innamorata di questo lavoro fin da piccola”. Dopo un anno di tirocinio ora è assunta con un contratto a tempo determinato e dice: “Lavorare qua è stata proprio una soddisfazione. Dopo tanti anni che non lavoravo più, che facevo la mamma e la casalinga, adesso sono padrona di me stessa, ho un lavoro tutto mio, i figli sempre con me e nessuno, me li può togliere”.


“Rendere le donne autonome”
“Evalab. è un laboratorio di ethical fashion aperto dalla cooperativa sociale Eva nel 2020 in un bene confiscato alla camorra a Casal di Principe per offrire opportunità di inserimento lavorativo, formazione professionale e autonomia economica a donne in uscita dalla violenza e prive di fonti di reddito”. A parlare è Daniela D’Addio, la coordinatrice del laboratorio, che racconta: “Il progetto è partito nel 2020, in piena pandemia, e abbiamo cominciato a produrre mascherine lavabili da distribuire ai centri antiviolenza che erano stati esclusi dalla distribuzione nazionale”.
Partner importanti
Il laboratorio collabora con partner importanti. Innanzitutto le antiche Seterie di San Leucio, che furono volute dai Borboni nel 1700, poi l’Accademia di Belle Arti di Napoli, gli studenti hanno creato i disegni per le sete, e le sarte del Teatro San Carlo che hanno fatto formazione alle future sarte. “Terminato il periodo pandemico – racconta la coordinatrice - abbiamo ripreso con il progetto originario, che era appunto quello della creazione di capi di lusso realizzati in seta, perché all'interno del progetto un partner c’è il Consorzio delle Sete di San Leucio che ci ha fornito le stoffe per realizzare la nostra prima collezione: geometrie di libertà”.
Una realtà affermata
Sono 7 le donne che con le proprie mani realizzano capi di grande effetto, dagli abiti alle stole, dalle borse alle collane. Cinque sono regolarmente assunte con contratto nazionale di lavoro per le cooperative sociali e due con borsa lavoro. Tre di loro sono italiane, le altre quattro vengono rispettivamente dall’Ucraina, dalla Polonia, dalla Nigeria e dall’India. Alcune di loro sono state accolte in casa rifugio, altre sono state solo seguite dal centro antiviolenza senza bisogno di essere protette.
Donne per le altre donne
È tornata a collaborare con loro anche Tiziana Maffei, la direttrice della Reggia di Caserta che ha reso possibile l’utilizzo delle arance del giardino e così il laboratorio di cucina della Cooperativa ha realizzato la Marmellata delle Regine. Maffei che da sempre disegna i vestiti che indossa, ha realizzato la seconda collezione del laboratorio, Geometrie di libertà e ha creato le magnifiche collane che oramai sono una produzione costante delle “sarte”.
È D’Addio a ricordarle: “Le professoresse del corso di Fashion Design dell’Accademia di belle Arti di Napoli hanno supervisionato tutto il percorso e continuano a offrirci le loro competenze in occasione dell’allestimento delle sfilate oppure offrendo alle sarte la possibilità di partecipare a workshop in Accademia – recentemente uno sulla costruzione dei cappelli – insieme agli studenti, che sono occasioni non solo di formazione ma anche di empowerment e riconoscimento per le donne del laboratorio”.
Lavoro e bellezza, un matrimonio felice
Abili belli e leggeri come solo la seta può. Spiega D’Addio: “Abbiamo sempre pensato che il concetto di bellezza, oltre al lavoro, fosse fondamentale per le donne per uscire dalla violenza, la bellezza educa ad una visione del mondo diversa. Per donne che vengono dalla bruttezza delle relazioni, delle loro situazioni familiari, abbracciare un'idea come quella delle sete, della leggerezza, della bellezza è stato un matrimonio vincente. È stato un duplice riscatto, non solo essere riuscite ad andar via da una relazione, ma essere immerse in un mondo di bellezza che ha dato loro la forza di migliorare”.
Il senso della legalità
La conclusione di Daniela D’Addio è un messaggio di speranza e di impegno: “Attraverso questo progetto è come se si fosse conferito un doppio valore simbolico al nostro lavoro, nel senso che non solo abbiamo ridato una veste di legalità a quei beni confiscati, ma li abbiamo rivestiti di un doppio lavoro sociale perché appunto sono diventati anche il luogo anche del riscatto delle donne, della libertà delle donne”.