Cosa c’entrano i rinnovi contrattuali con le pensioni e il “sequestro” del Tfs/Tfr? C’entrano eccome, perché come si sa la pensione futura e il trattamento fine rapporto saranno calcolati sui contributi versati per la prima, e sull’accantonamento di un dodicesimo del salario mensile per la seconda. E allora rifiutarsi di sottoscrivere rinnovi contrattuali che prevedono aumenti che non coprono nemmeno l’inflazione significa guardare anche al valore della futura pensione e del futuro Tfs/Tfr.

Per quanto riguarda il trattamento di fine rapporto la questione vale doppio visto che già durante il periodo del “sequestro”, cioè del ritardo dell’erogazione dell’importo maturato, l’inflazione gioca a sfavore del dipendente oramai in quiescenza. Anche di questo si è parlato recentemente in un convegno dal titolo emblematico: “Il trattamento di fine rapporto dei dipendenti pubblici, proposte e iniziative per superare l’inaccettabile sequestro della liquidazione” promosso da Cgil, Uil, Cgs, Cse, Cosmed, Cida e Codirp.

Tfs/Tfr e contratti

A spiegare la relazione tra la non sottoscrizione dei rinnovi contrattuali e l’inaccettabilità del “ritardo” nell’erogazione è stato Florindo Oliverio, segretario nazionale della Fp Cgil: “Un motivo in più per dire no alla sottoscrizione di contratti collettivi nazionali di lavoro che, perdendo di vista la primaria funzione di rivalutare le retribuzioni almeno in ragione dell’inflazione, registrata nel periodo di riferimento, oltre a svalorizzare il lavoro consegnano i lavoratori e le loro famiglie alla povertà da pensionamento”.

La non firma tutela il presente e il futuro

Come si sa il rinnovo del contratto delle funzioni centrali non è stato sottoscritto da Cgil e Uil innanzitutto perché la parte economica non è sufficiente per recuperare i due terzi di potere di acquisto erosi dall’inflazione. Eallora, ha aggiunto il segretario della Fp, “appare evidente che se non si firmano contratti di lavoro che mantengono il potere d’acquisto si incide in modo estremamente negativo sia sui salari, che con il rinnovo dei contratti di lavoro devono crescere ad un valore almeno pari all’inflazione se non vogliamo sancire un impoverimento ex lege per i dipendenti pubblici, ma anche sulla pensione e sul Tfs che si svaluta anno dopo anno. Se a questo aggiungiamo il parziale blocco del turn over e un ulteriore invecchiamento del personale, in un contesto di generale svalorizzazione del lavoro pubblico, il quadro è, purtroppo, drammaticamente negativo”.

Non solo pensioni

Era il 2011 quando Berlusconi e i suoi ministri decisero – ovviamente per risparmiare sul portafogli e sulla pelle delle lavoratrici e dei lavoratori pubblici – di dilazionare l’erogazione del trattamento di fine servizio, la “liquidazione” dei dipendenti pubblici. Per ricevere il bonifico si passo, allora, dai 15 giorni a 6 mesi nel caso di uscite per limiti di età o per massima anzianità contributiva, e da 6 mesi a 24 mesi per le dimissioni volontarie. Dopo Berlusconi ci pensò Monti a peggiorare le cose e dopo lui anche Letta. Risultato oggi la situazione dal 2014 è che ci vogliono 12 mesi per tutti, 24 mesi per i dimissionari. A cui sommare i 90 giorni tecnici che si prende l’Inps. Non contenti, poi, l’erogazione della somma maturata avviene a rate. Risultato, secondo i sindacati si può parlare di un vero e proprio sequestro del Tfs che può arrivare anche fino a fino a 51 mesi, ben oltre quattro anni in caso di pensione anticipata con la legge Fornero e fino a 93 mesi per chi ha aderito a Quota 100-102-103: in questo caso gli anni sono 7.

Una perdita economica consistente

Investirli per mettere al sicuro la vecchiaia, estinguere un mutuo, o molto altro ancora è quel che ciascuno di noi pensa di fare una volta ottenuto l’importo di quanto accantonato negli anni di lavoro. Quanti interessi quella somma avrebbe maturato in quattro o sette anni? E il valore del Tfs di sette anni fa è assai inferiore a quello di oggi vista l’inflazione a 2 cifre degli anni scorsi. Una vera e propria sottrazione indebita, legalizzata. Per questo Oliverio ha sottolineato che “il differimento del Tfs/Tfr è una misura ingiustificata che, nel tempo, si è trasformata in una vera e propria penalizzazione strutturale-sequestro. Inoltre, le risorse sottratte ai lavoratori pubblici non solo ne penalizzano la stabilità economica, ma violano il principio di equità di trattamento rispetto ai dipendenti privati, ai quali il Tfr viene erogato in tempi ragionevoli”.

Ritardi a catena

Negli ultimi anni, inoltre, sono cresciuti i tempi di attesa del Tfr dei dipendenti pubblici che hanno aderito ai Fondi di previdenza complementare di tipo negoziale, tempi che sono passati da una media di 6 mesi fino agli oltre 15 mesi attuali, il tempo che impiega Inps per liquidare le somme alle lavoratrici e ai lavoratori. Perché? Sembra davvero quasi una beffa pagata a caro prezzo da chi per anni ha compiuto il proprio dovere al servizio del Paese. “I ritardi - ha osservato Ezio Cigna, responsabile previdenza della Cgil – dipendono sia da problemi tecnici e organizzativi sia, soprattutto, per carenza di organico. Oggi presso l’Inps risultano, solo per il Fondo Perseo Sirio (tutta la Pa tranne la scuola) quasi 5.000 posizioni in attesa di essere liquidate per un valore di quasi 38 milioni di euro”.