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Per capire quanto è ancora lungo il cammino che porta alla parità, non solo salariale, tra donne e uomini sarebbe utile leggersi i dati resi noti dalla ricerca della Fiom reggiana, una delle prime e più complete in Italia, dal titolo Report sulla situazione salariale e occupazionale per generi nel settore metalmeccanico reggiano. Perché siamo a Reggio Emilia, il cuore rosso della Regione rossa per eccellenza. Nella terra degli asili nido metafora concreta dell’attenzione dedicata alla conciliazione tra tempo di vita e tempo di lavoro, la cui assenza, ad altre latitudini, ha bloccato e blocca tuttora l’inserimento delle madri nel mercato del lavoro.
Gli uomini guadagnano il 34% in più delle donne
Eppure? Eppure, citando testualmente la nota diramata dai metalmeccanici della Cgil a commento di quei dati, inviati alla Regione e ai rappresentanti sindacali dalle imprese metalmeccaniche e definiti “impietosi” dalla Fiom nella nota, “la media degli impiegati uomini guadagna annualmente il 34% in più delle colleghe donne, mentre tra gli operai la differenza è del 13%” e “agli impiegati uomini vengono riconosciuti superminimi individuali pari al 264% di quelli delle colleghe donne”.
Benvenuti in Italia. “Dove sono più pesanti i cosiddetti “aumenti di merito”, dove cioè è maggiore l’incidenza della contrattazione individuale, lì sono più ampie le differenze tra uomini e donne - spiega la Fiom di Reggio - al contrario, dove è forte la contrattazione collettiva si hanno differenze inferiori”. Che potremmo tradurre, in maniera un tantino grossolana ma comprensibile, “fatta la legge, trovato l’inganno”.
“La contrattazione collettiva unisce, la discrezionalità di impresa sui salari individuali divide e produce ingiustizia - sottolinea Luana Mazza della segreteria provinciale della Fiom -. Per questo accettiamo la sfida lanciata dalla Presidente di Unindustria Reggio Emilia l’otto marzo: utilizziamo anche la contrattazione collettiva per arrivare a una parità salariale di genere vera e di sostanza”.
Discriminate su tutti i fronti
Andiamo per ordine, perché quella dei salari è soltanto una delle voci all’indice della ricerca. Dal Report emergono disparità su tutti i fronti: dalle assunzioni alle retribuzioni, dall’inquadramento ai carichi di cura dei figli, finanche nella formazione professionale. Non c’è una voce in cui le donne non siano vittime di una discriminazione evidente.
La fotografia scattata dal Report Fiom mostra che le donne, sia operaie sia impiegate, fanno meno ore di formazione e che i quadri uomini hanno premi di produttività superiori del 63% rispetto alle colleghe. Mentre tra gli operai gli uomini fanno oltre il doppio delle ore di straordinario delle colleghe.
Dall’analisi dei “Rapporti Biennali sul personale maschile e femminile” compilati da 97 imprese metalmeccaniche reggiane sopra i 50 dipendenti, con un totale di oltre 26 mila lavoratori coinvolti (due metalmeccanici su tre), salta agli occhi un processo di “maschilizzazione” di un settore in cui gli uomini sono già larga maggioranza, ma dove tra i neoassunti la tendenza va a rafforzare questo dato.
Proprio il tema dell’orario, che intreccia la dimensione lavorativa, quella economica e quella di cura, mostra come in Italia continui a esistere una forte asimmetria nella gestione dei figli: le madri utilizzano il congedo parentale due volte e mezzo i padri, l’utilizzo del part time tra le donne è dieci volte quello degli uomini, lo smart working tra gli impiegati vede le donne superare i colleghi di oltre il 30%. Cosi come si vedono le donne operaie fare meno straordinari dei colleghi uomini (pari a circa una settimana lavorativa all’anno).
La mamma cucina e il papà lavora. Il trionfo degli stereotipi
Insomma, tradotto in soldoni, è chiaro il motivo per cui nelle famiglie, se si deve ridurre l’orario di lavoro per favorire la cura dei figli, la scelta cada quasi sempre su chi ha salari inferiori (le madri), mentre se c’è da aumentare l’orario la scelta cada sugli uomini. Una condizione aggravata da un fattore culturale, laddove in Italia si dà ancora per scontato che il grosso del lavoro di cura debba essere in capo alle donne.
Per la Fiom la contrattazione collettiva può incidere sul cambiamento, sia per modificare le condizioni economiche, sia per contrastare una cultura maschilista sul lavoro di cura che non ha senso di esistere: nelle piattaforme per i contratti aziendali, ad esempio, si sta chiedendo di estendere il congedo parentale al 100% per i padri, per favorire una maggior eguaglianza all’interno delle famiglie, che non devono più essere costrette a scegliere per ragioni economiche.
La risposta è la contrattazione collettiva
“Con la contrattazione collettiva le aziende hanno la possibilità di dare risposte alle questioni sollevate da questa analisi: occorre andare oltre alla retorica “pink”, servono azioni concrete e verifiche della loro efficacia definite insieme al sindacato”, ribadisce Valentina Orazzini della Fiom Nazionale che nei giorni scorsi ha partecipato alla presentazione del Report alla Assemblea Generale della Fiom.
I dirigenti uomini sono il 93%
Se le condizioni economiche e di orario delle donne metalmeccaniche reggiane sono queste, viene normale chiedersi quali sono le cause. “I dirigenti uomini sono il 93% del totale, i quadri uomini l’85% del totale. Tra gli impiegati ogni due donne con ruoli di coordinamento ci sono tre uomini, mentre nei ruoli esecutivi le donne sono il doppio in proporzione rispetto ai colleghi, questa è la geografia del potere nelle aziende metalmeccaniche - spiega la Fiom di Reggio - a cui si aggiunge una cultura maschilista diffusa che produce effetti in tutte le scelte che riguardano le condizioni di lavoro.”
Dal punto di vista della professionalità ci sono differenze anche tra gli operai, che rappresentano la maggioranza degli addetti: i ruoli operai professionalmente più alti (capi, responsabili, gestione macchine) sono coperti quasi esclusivamente dagli uomini, mentre le operaie sono spesso in ruoli a minor valore aggiunto e minor apporto di conoscenza, “da questo punto di vista non è indifferente che le aziende stiano facendo poca formazione, e che le donne, sia operaie sia impiegate, ne stiano facendo meno dei colleghi uomini”, dichiara Maria Lina Bigoni, Rsu della Walvoil.
“Chi dirige le aziende decide le politiche del personale, definendo i percorsi formativi, le crescite professionali, i salari dei lavoratori. Quando questi aspetti sono gestiti individualmente, in maniera unilaterale dall’alto, le donne hanno una condizione lavorativa peggiore dei colleghi uomini. Quando le direzioni aziendali accettano di regolare collettivamente la formazione, quando gli aumenti salariali sono fissi e si stabilizzano i precari, le disuguaglianze possono diminuire perché le regole collettive non contengono filtri e pregiudizi culturali e sono uguali per tutti”, dichiara il segretario provinciale Fiom, Simone Vecchi.