"È inaccettabile anteporre gli interessi finanziari di un'azienda partecipata dallo Stato a quelli del Paese, ed è grave che il governo avalli questa operazione. Lo ribadiremo nell'incontro convocato per lunedì 10 marzo, sia durante il tavolo di confronto sia con le manifestazioni davanti al ministero delle Imprese e del made in Italy. Saranno coinvolti i lavoratori diretti di Versalis, quelli indiretti dei trasporti e dell’edilizia, con mobilitazioni su tutto il territorio e un presidio a Roma davanti al Mimit. Parteciperanno rappresentanti di tutti i settori coinvolti (chimici, metalmeccanici, trasporti, edili e dei servizi di pulizia e vigilanza), oltre a istituzioni e forze politiche che vorranno sostenere la nostra lotta". Così dichiara Pino Gesmundo, segretario confederale della Cgil.

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"Ieri il ministro Adolfo Urso – spiega Gesmundo – ha annunciato con un comunicato stampa la convocazione di un tavolo per discutere il piano industriale di Eni, che prevede la chiusura degli ultimi due cracking operativi in Italia e lo stop definitivo alla produzione di etilene, elemento essenziale per la produzione delle materie plastiche. Questa decisione – ribadisce – potrebbe portare vantaggi economici all'azienda, ma ci renderebbe ancora più dipendenti dai paesi extraeuropei, indebolendo il settore manifatturiero italiano e aumentando i rischi derivanti dall’instabilità dei mercati e dalla guerra dei dazi, con un conseguente incremento del costo delle materie prime strategiche". Il dirigente sindacale sottolinea che "su questi aspetti il comunicato di Urso non spende neanche una parola. Tuttavia, il ministro ha precisato che il piano industriale è stato sottoscritto dai sindacati. Da un lato sembra voler evidenziare che si tratta di una scelta aziendale e non governativa, dall’altro omette che l’accordo non è stato firmato dalla Filctem Cgil, che rappresenta quasi il 48% dei lavoratori del settore, più della somma degli altri sindacati firmatari".

Riguardo all'accordo, Gesmundo aggiunge: "È grave che, mentre era in corso un confronto con il Governo, l’azienda e alcune organizzazioni sindacali abbiano deciso di procedere senza il coinvolgimento delle istituzioni su un tema cruciale per la competitività del Paese. Inoltre, non sono state chiarite le garanzie occupazionali per le imprese dell’indotto, i cui addetti sono tre volte i dipendenti diretti. Si sono limitati a fornire generiche rassicurazioni sulla continuità produttiva a valle dei cracking, dimenticando che lo stesso piano industriale di Eni dichiara insostenibile un’industria a filiera lunga. Questo significa che, con la chiusura della produzione di etilene, nel breve periodo potrebbero chiudere anche gli impianti di poliolefine".

Il segretario confederale della Cgil sottolinea inoltre che "nel comunicato si evidenzia come l’accordo preveda che l’impianto di Brindisi venga mantenuto in conservazione, pronto per essere riattivato. Il ministro rivendica di essersi attivato presso la Commissione europea per una revisione del CBAM, il sistema che tassa la CO2 prodotta dai prodotti importati, chiedendo l’inserimento della chimica. Questo implica che la chiusura sia una decisione di Eni, mentre il Governo sostiene che l’impianto potrà ripartire non appena l’Europa modificherà le regole. Peccato – conclude – che basti un ingegnere chimico per sapere che, una volta spento, dopo pochi mesi l’impianto non sarà più riutilizzabile, con conseguenze disastrose per l’industria italiana".

Ieri, 4 marzo 2025, lo stesso segretario generale della Filctem Cgil, Marco Falcinelli, ha ribadito quello che secondo la categoria è il grave errore che Eni sta arrecando all’Italia, alla sua filiera industriale e alla sua competitività. "La richiesta che il Governo – ha dichiarato – non avalli questo disastroso piano, rendendosi complice dell'avvio di un pericoloso percorso di deindustrializzazione. Si è ancora in tempo per porre fine a questo scempio, salvare l'industria italiana e centinaia di migliaia di posti di lavoro".