Il futuro del settore chimico in Sicilia è sempre più incerto dopo la decisione di Eni di abbandonare la chimica di base. La chiusura degli impianti di Ragusa e l’annunciata chiusura di quello di Priolo, in provincia di Siracusa, mette a rischio diretto oltre 540 posti di lavoro, ma l'impatto sull'indotto potrebbe essere ancora più devastante, con circa duemila posti in bilico nelle due località e oltre 700 aziende della filiera coinvolte. Dirompenti gli effetti per il Paese: un effetto domino che rischia di impattare su 20 mila lavoratori.
A Priolo il terzo appuntamento della mobilitazione
Dopo Ferrara e Brindisi, la Cgil e le categorie interessate, martedì 18 febbraio scorso, hanno tenuto a Priolo il terzo incontro del percorso di mobilitazione per dire no a un piano “sbagliato per la chimica, per il lavoro, per tutta l’industria e per il Paese”. Nella cittadina siciliana, la Cgil e le categorie interessate hanno incontrato i lavoratori e le istituzioni per manifestare la propria opposizione a un piano industriale che rischia di privare la Sicilia e indistintamente tutta l'industria italiana di un settore produttivo strategico. "Non possiamo accettare che la chimica venga abbandonata senza un piano di riconversione concreto. Ci è stato promesso lo sviluppo di una bioraffineria, ma senza certezze su investimenti e occupazione", denunciano i rappresentanti sindacali.
La situazione è critica anche dal punto di vista sociale. "Se si ferma la zona industriale, si ferma l'intero tessuto produttivo della nostra provincia", spiega un lavoratore del settore metalmeccanico, che da trent'anni opera nella zona industriale di Siracusa. Il timore è che, come già accaduto a Gela e Termini Imerese, la chiusura degli impianti provochi un'ondata di emigrazione forzata verso il Nord Italia e l'Europa, aggravando ulteriormente la crisi economica della regione.
Il caso di Ragusa è emblematico: lo stabilimento ha prodotto polietilene sin dagli anni Cinquanta, ma la sua chiusura è stata decretata con il piano industriale di Eni, con la fine delle attività fissata al 31 dicembre 2024. Da gennaio, sono iniziate le operazioni di bonifica e messa in sicurezza, ma senza prospettive chiare sul futuro. "Abbiamo bisogno di certezze, non solo di promesse", affermano i lavoratori preoccupati per la mancanza di un vero piano di riconversione.
Una vertenza nazionale
L'importanza della chimica di base va ben oltre i confini regionali: etilene e propilene, prodotti nei siti siciliani, come a Brindisi, rappresentano materie prime fondamentali per numerosi settori industriali, dall'automotive alla farmaceutica, fino al tessile e all'arredamento. La chiusura di questi impianti non solo metterebbe in ginocchio l'economia locale, ma costringerebbe le industrie italiane a importare tali materiali da Paesi politicamente instabili, con evidenti rischi per l'intera filiera.
"Una scelta miope, scellerata – per Pino Gesmundo, segretario nazionale della Cgil – che fa saltare un asse strategico e rischia di compromettere l’intero sistema industriale italiano". Una scelta che il sindacato chiede venga modificata, ed è pronto per questo a proseguire con la mobilitazione, già in occasione dell’incontro convocato per il 26 febbraio 2025 dall'Eni.
"La chimica – ha sostenuto Marco Falcinelli, segretario generale della Filctem Cgil – è strategica, lo dicono sia l’Europa che il governo italiano, allora perché non produrre più etilene e propilene? I mercati – ha aggiunto – sono ciclici, se oggi si perde domani il ciclo si inverte. Diciamo no dunque a questo piano, non possiamo avallarlo. Noi guardiamo agli interessi delle lavoratrici, dei lavoratori e del Paese. Questa invece è una scelta spinta dagli azionisti privati per il loro tornaconto. Ma la finanza – ha sottolineato Falcinelli – non può prevalere sull’industria, il nostro Paese non può consentire scelte di questo tipo".
"Ci batteremo fino in fondo – ha detto Barbara Tibaldi, segretaria nazionale Fiom Cgil – perché i 4.500 metalmeccanici che lavorano all’interno del polo abbiano un futuro. Chiederemo un tavolo che comprenda tutti con soluzioni credibili, non accettiamo che il futuro del siracusano venga archiviato dai piani di un’azienda pubblica". Tibaldi ha sottolineato che "questo piano non dà speranze di futuro", aggiungendo che "la Sicilia non ha bisogno di altre desertificazioni industriali che consegnerebbero interi territori alla disperazione".
La Cgil chiede dunque al governo di esercitare un ruolo da protagonista, convocando un tavolo ministeriale che assuma la vertenza nel suo complesso, considerando l’impatto su diretto e indotto, quindi su più categorie di lavoratori, su tutta l’industria, su intere aree e in definitiva su tutto il Paese.
I lavoratori e i sindacati chiedono con forza un intervento concreto da parte del governo, affinché venga tutelata la chimica italiana e venga garantito un futuro occupazionale per le migliaia di persone coinvolte. La lotta è appena iniziata e la mobilitazione continuerà finché non arriveranno risposte chiare e concrete.
(immagini di Davide Criscione)