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Una mole di numeri che raccontano la stessa cosa, le donne sono tante, brave, studiano spesso più dei maschi e con maggior successo eppure sono ancora penalizzate nel lavoro. E sono ancora vivi stereotipi e segregazioni. Basti pensare che metà dell’occupazione femminile è concentrata in 21 professioni, quella maschile in 53. Non solo, i divari occupazionali di genere sono sempre a favore degli uomini anche nelle “discipline femminili”. E la nascita di un figlio continua ad essere una “questione delle donne e da donne”.
I numeri dell’occupazione
Per fortuna l’occupazione femminile è aumentata, ma ancora troppo poco e poi, l’aumento è dovuto alle over 50 probabilmente – come per gli uomini – dipende non dall’attivazione di nuovi contratti ma dalla non andata in pensione di chi un lavoro già ce l’ha. “Dal 2008 al 2024 – si legge nel Rapporto Cnel Istat Il lavoro delle donne tra ostacoli e opportunità – l’incremento del tasso di occupazione delle donne è di 6,4 punti. Una crescita dovuta soprattutto al segmento delle ultracinquantenni: mentre l’aumento per le over50 raggiunge i 20 punti, per le 25-34enni si ferma a 1,4 punti”.
Lontane dagli uomini
Tra donne e uomini giovani il divario nei tassi di occupazione c’è ma inferiore a quello che esiste nelle classi di età più avanzate. Ma aumenta moltissimo nel Mezzogiorno del Paese. La differenza è 12,1 punti per i più giovani e 22,9 punti nella fascia più adulta. Mentre al Sud la distanza tra i tassi di occupazione femminile e maschile passa da 14,2 punti per classe 15-34 anni a quasi il triplo per le 50-64enni 33,1 punti in meno rispetto agli uomini.
E lontane dall’Europa
Se è vero che il tasso di occupazione femminile è aumentato, è altrettanto vero che la distanza con il tasso di occupazione femminile europeo è davvero troppa: risulta inferiore di 12,6 punti alla media Ue ed è il valore più basso tra i 27 paesi dell’Unione. Non solo, si legge ancora nel Rapporto: “Il gap di genere nel tasso di occupazione è quasi il doppio della media Ue: 17,4 punti contro 9,1 punti. Ad ampliare ulteriormente i divari con l’Ue si aggiungono le marcate disparità territoriali: mentre tutte le regioni del Nord e del Centro, tranne il Lazio, hanno raggiunto l’obiettivo previsto dalla Strategia di Lisbona 2010, pari al 60%, nessuna regione meridionale ha raggiunto il target europeo”.
Per colmare questo divario dovevano essere utilizzati i fondi del Pnrr, ma la prima donna a Palazzo Chigi ha allentato i vincoli che prevedevano una riserva di occupazione femminile negli appalti del Piano europeo.
La precarietà è donna
Secondo i dati presentati a villa Lubin, sette occupati su dieci possono contare su un lavoro standard (dipendente a tempo indeterminato o autonomo con dipendenti). Non è così per le occupate, solo il 53,7% di loro ha una condizione standard. “Quasi un quarto delle donne che lavora – si legge nel rapporto Cnel-Istat - presenta uno o più elementi di vulnerabilità (dipendente a tempo determinato, part time involontario, ecc.), contro il 13,8% gli uomini. Risultano più spesso vulnerabili le lavoratrici giovani (38,7%), residenti nel Sud (31,2%), con bassa istruzione (31,7% per le donne che hanno fino alla licenza media) e straniere (36,5%)”.
E allora la partecipazione ai referendum della Cgil che mirano a ridurre la precarietà per tutte e tutti, a restituire dignità e sicurezza al lavoro non può che essere donna.
Lavoro non standard porta con sé lavoro povero. E così aumenta anche il differenziale salariale. Secondo il Rapporto: “La diffusione di contratti non standard nella componente femminile del mercato del è la principale causa di livelli retributivi individuali insufficienti”.
Ghiglione (Cgil): “Le donne votino convintamente al referendum”
La lettura dei numeri non può che provocare rabbia e, contemporaneamente, ulteriore impegno nel cercare di cambiare le cose. Lara Ghiglione, segretaria nazionale della Cgil, afferma: “Anche questo 8 marzo tutte le statistiche e gli studi dimostrano che in Italia le donne occupate sono molte meno degli uomini e, soprattutto, che il loro lavoro continua ad essere precario, in part time, spesso involontario, con forti discriminazioni nei percorsi di carriera. Per questo è importante che proprio le donne votino convintamente ai referendum di questa primavera, che pongono limiti alla precarietà, ai licenziamenti discriminatori, ai meccanismi che mettono a rischio la sicurezza sul lavoro, e che chiedono di riconoscere il diritto alla cittadinanza a migliaia di donne che vivono, studiano e lavorano nel nostro Paese".
Mamme al lavoro
Secondo il rapporto il 57,2% delle madri che vive in coppia lavora, mentre l’86,3% dei padri ha un’occupazione. E tra i 25 e i 35 anni la metà delle madri risulta occupata. Ma anche in questo caso conta dove si vive: “Le disparità a livello territoriale appaiono molto importanti, legandosi anche alla diversa disponibilità di servizi per la prima infanzia: mentre nelle regioni del Nord e del Centro il tasso di occupazione delle madri supera o sfiora il 70%, nel Mezzogiorno si attesta poco sopra il 40%”.
Governo bocciato
Davvero insufficiente ciò che l’esecutivo guidato da Meloni e il ministero del Lavoro guidato da Calderone, anche lei donna, hanno fatto. Aggiunge a tal proposito la segretaria della Cgil: “Di fronte a questo quadro allarmante il governo ha risposto con bonus e interventi spot, quando invece sono necessarie misure strutturali, anche a sostegno della genitorialità, visto che le lavoratrici madri continuano a essere discriminate nel mercato del lavoro perché su di loro gravano le responsabilità famigliari. Interventi più netti sono invece arrivati nella scorsa legislatura dall’Unione europea, che ha promosso un pacchetto di Direttive che puntano a contrastare le discriminazioni di genere sul lavoro e nella società, partendo dal gender pay gap".
Quasi 8 milioni di inattive
I dati di chi vorrebbe lavorare e per ragioni diverse un lavoro non riesce a trovarlo sono sconcertanti. Sono quasi un milione le disoccupate di lunga durata e più passa il tempo e meno troveranno occupazione. Oltre 7,8 milioni di donne sono inattive e oltre 600 mila un lavoro non lo cercano più perché convinte che mai lo troveranno.
8 marzo di impegno e non di passerelle
Ancora una volta è Ghiglione a parlare, soprattutto a delineare quel che occorre fare: “L’8 marzo le italiane non hanno bisogno delle passerelle o di Consigli dei ministri straordinari, che hanno il solo l’effetto di occupare spazio sui media con poca o nulla efficacia pratica. Avrebbero bisogno di misure concrete e investimenti per cambiare la cultura discriminatoria che le colpisce, esponendole a dinamiche di violenza e molestie, e per migliorare la qualità e la sicurezza del lavoro".