Gli stranieri in Italia sono 5,3 milioni, il 9% della popolazione. Sono persone che lavorano, studiano e contribuiscono a modellare il tessuto sociale ed economico del Paese. Eppure l’integrazione per molti resta ancora un'incognita, in particolare per quanto riguarda il lavoro qualificato, l’istruzione e le prospettive future per i più giovani. È questa la fotografia scattata dal rapporto Cittadini stranieri in Italia, un’analisi statistico-demografica curata dall’Organismo nazionale di coordinamento per le politiche di integrazione (Onc) del Cnel. Una foto tra luci e ombre che tratteggia un fenomeno migratorio diverso da come viene spesso raccontato.

I nuovi flussi

Il Cnel ci dice che qualcosa nei flussi migratori verso il nostro Paese è cambiato. Oltre il 70% degli stranieri in Italia, oggi, sono infatti cittadini non comunitari. Tra le nazionalità più rappresentate ci sono sempre i rumeni, un milione e 82 mila residenti, seguiti da albanesi, marocchini, cinesi. Ma negli ultimi tempi sono aumentati in maniera esponenziale gli ucraini. Tra il 2011 e il 2023 si sono infatti registrate circa 1,7 milioni di acquisizioni di cittadinanza, con un picco di 214 mila solo nel 2023, il 92% delle quali ha riguardato proprio i non comunitari.

I flussi migratori, che per anni sono stati legati soprattutto al lavoro, tra l'altro, oggi sono invece prevalentemente motivati dal ricongiungimento familiare e, negli ultimi anni, dall’asilo politico e dalla protezione umanitaria. Nel 2022, infatti, oltre il 45% dei permessi di soggiorno è stato rilasciato per protezione internazionale. La maggior parte a favore di chi scappava dalla guerra in Ucraina, accolti senza farsi troppe domande da tutti i paesi europei, Italia compresa.

Famiglie miste, single e seconde generazioni

Ma come e dove vivono queste persone? Ebbene in Italia ci sono oltre 2,5 milioni di famiglie con almeno un componente straniero, il 28,3% delle quali sono famiglie miste. Le famiglie unipersonali, i single, rappresentano però ancora il 50% del totale, con picchi significativi tra le comunità del subcontinente indiano (65%), egiziana (58,2%) e ucraina (68%, soprattutto donne).

I minorenni di seconda generazione, cioè nati in Italia da genitori stranieri, sono invece oltre un milione. A questi si devono aggiungere i ragazzi immigrati, per un totale di circa 1,3 milioni, pari al 14% della popolazione under 18 in Italia. Tra questi, quasi 600 mila frequentano le nostre scuole. Tuttavia, il loro percorso scolastico risulta spesso più difficoltoso rispetto ai coetanei italiani, con un ritardo già nella scuola primaria che interessa quasi il 12% degli studenti stranieri.

Giovani di passaggio

È questo uno dei tasti più dolenti, primo sintomo di un'integrazione che non funziona. E forse anche per questo, in molti tra i più giovani non pensano di restare. Il dato sulle aspirazioni future ci dice che il 38,4% dei ragazzi stranieri (11-19 anni) vede il proprio futuro fuori dall’Italia, contro il 34% dei giovani italiani. In particolare, oltre il 30% immagina di trasferirsi in un altro Paese, mentre l’8% desidera tornare nel proprio Paese d’origine. La collettività più propensa a rimanere in Italia è quella marocchina (45,1%), proprio una delle comunità che ha una tradizione migratoria più lunga nel nostro Paese, e in cui i ricongiungimenti familiari sono più numerosi.

Lavoro poco qualificato

Nel 2023 gli occupati stranieri in Italia sono stati 2 milioni e 374 mila, pari al 10% del totale degli occupati. Tuttavia, solo l’8,7% svolge un lavoro qualificato. Il tasso di occupazione maschile tra gli stranieri è del 75,6%, mentre quello femminile si ferma al 48,7%. La distribuzione geografica vede il Nord assorbire il 61,7% degli occupati stranieri, il Centro il 24,7% e il Mezzogiorno il restante 13,6%. Ci fa sapere il Cnel che “anche in termini di percezioni gli stranieri sentono la frustrazione di un lavoro poco qualificato”. La quota di quanti ritengono di svolgere funzioni inferiori alle proprie competenze tra gli occupati stranieri è quasi doppia rispetto agli italiani (19,2% contro 9,8%).

D'altronde, gli stranieri sono relativamente più presenti tra i residenti senza alcun titolo di studio e tra quelli con licenza media (in entrambi i casi con circa 5 punti percentuali in più rispetto agli italiani), parzialmente compensati da 4 punti in meno in corrispondenza del gruppo con licenza elementare. Il vantaggio degli italiani, quindi, inizia a manifestarsi sostanzialmente dal diploma, a partire dal quale si concentrano il 53,5% dei residenti, contro il 47,8% per gli stranieri. E il divario cresce soprattutto in corrispondenza della laurea specialistica e oltre, dove gli italiani raggiungono il 12%, a fronte dell’8,5% per i residenti stranieri.

Seconda generazione e cittadinanza

Il profilo della collettività straniera fornito dal Cnel, in sostanza, ci dice che la popolazione migrante in Italia sta cambiando velocemente. Non abbastanza rapida, invece, appare la risposta delle istituzioni. Per quanto riguarda la cittadinanza, ad esempio, dopo il picco toccato nel 2012 con oltre 79 mila neonati i migranti di seconda generazione sono costantemente diminuiti. Il dato del 2023, pari a circa 51 mila, è molto vicino a quello del 2005, quando però la corrispondente popolazione residente era molto inferiore. Anche questo è un importante segnale da cogliere, eppure buona parte della politica resta inerte da troppo tempo, vittima della propria rigidità ideologica.

Il 12 dicembre scorso, la Corte di Cassazione ha dichiarato validi sei referendum abrogativi. Oltre a quelli contro la legge sull’autonomia differenziata e sul lavoro, c'è proprio il quesito sulla cittadinanza. La scelta è semplice: di concederla a chi “risiede legalmente nel territorio della Repubblica da almeno cinque anni”, invece che da dieci. Forse la democrazia diretta sarà in grado di recuperare il tempo perduto di fronte all’inerzia della politica.