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Che grande sforzo, il Parlamento ha approvato una mozione “Concernente iniziative sulla parità di genere”, peccato che di belle parole siano lastricate le vie dell’inferno. Sì, belle parole, perché per legge la parità tra donne e uomini nel mondo del lavoro esiste dal 1975 ma nell’Italia del 2024 ci sono ancora 20 punti di distanza tra occupazione femminile e maschile e il differenziale salariale colpisce quante lavorano e quante sono in pensione, per non parlare del confronto con l’Europa, dove siamo ultimi per donne al lavoro.
E ancora peggio va se si legge la classifica del Global Gender Gap 2024: l’Italia, con un punteggio di 0,703 su 1, si posiziona all’87mo posto a livello generale, perdendo ben 8 posizioni rispetto al 2023. Insomma andiamo a passo di gambero tornando indietro sulla via della riduzione del gender gap, per di più se si passa dal mondo all’Europa, l’Italia si colloca al 37mo posto su 40, davanti solo a Ungheria, Repubblica Ceca e Turchia.
Lo sconforto della Cgil
“La mozione sulle pari opportunità non è altro che una lista di “buoni propositi” molti dei quali oggettivamente condivisibili, ma che rimarranno tali, come è accaduto in questi anni, se ad essi non seguiranno atti concreti e norme che, peraltro, hanno necessità di specifiche risorse”. Lo afferma Lara Ghiglione, segretaria nazionale della Cgil commentando il testo che certamente è “buono e giusto” ma che contiene alcuni limiti.
Il primo è che è datato, certo è stato varato dal Parlamento lo scorso 17 ottobre ma se fosse stato scritto 50-40-30 anni fa sarebbe stato giustificato salutarlo con enfasi e calore. Già 10 o 20 anni fa avrebbe dovuto suscitare scalpore visto che la Costituzione che afferma la parità tra i generi a partire dall’articolo 3 data 1948. Il secondo limite è che la mozione parlamentare è un documento di consigli e suggerimenti ma non è vincolante. Infine il limite più grave è che se non si destinano risorse nulla si può fare.
Una storia antica
È lo stesso testo a ricordare quali siano le norme, quelle sì vincolanti, che introdussero e confermarono la parità tra donne e uomini nel nostro Paese. La Costituzione, innanzitutto, con gli articoli 3 (parità) 37 (parità retributiva) 51 (parità nelle cariche istituzionali ed elettive). Nel 57 poi, furono i Trattati di Roma a porre a fondamento dell’Europa unita la parità tra donne e uomini, fino ad arrivare ad anni più recenti con i nuovi provvedimenti europei sia per la parità nel lavoro che per i diritti sociali ed economici. Fino ad arrivare a menzionare il Pnrr che tra i suoi obiettivi aveva (crediamo sia più giusto utilizzare il passato) proprio la riduzione del gender gap. Peccato che questo governo abbia reso non più vincolante la riserva di posti di lavoro per le donne tra quelli prodotti da progetti legati al Piano e che abbia ridotto di circa 100mila i posti in asilo nido rispetto a quelli previsti originariamente. Altro che politiche per la parità!
Il paradosso della mozione
La mozione sembra quindi paradossale, basta pensare alle politiche che Meloni e i suoi ministri e ministre, ormai da due, anni perseguono strenuamente. Sono 22 gli impegni votati da Camera e Senato, ricordiamo in maniera non vincolante, quel che più risulta sorprendente è il secondo: “Il Parlamento impegna il governo ad avviare un concreto e tempestivo confronto con le parti sociali realmente rappresentative, volto a definire una nuova strategia in materia di lavoro nel nostro Paese, che metta al centro la buona e stabile occupazione, salari adeguati, e il contrasto a ogni forma di precarietà attraverso una vera e propria, «bonifica» normativa delle diverse forme di precarietà che colpiscono con particolare riguardo le donne e ai giovani, al contempo riducendo i disincentivi al lavoro attualmente esistenti per le donne”.
Il confronto non si nega a nessuno
Sono due anni che la Cgil, sindacato più rappresentativo, chiede un confronto vero con l’esecutivo: mai convocati, al massimo sentiti per comunicare decisioni già prese ed inemendabili. È talmente vero, che per contrastare la precarietà e costruire buona e stabile occupazione per donne e uomini la Confederazione di Corso d’Italia ha raccolto oltre 4 milioni di firma in calce ai referendum sul lavoro. Ma se palazzo Chigi chiamerà, la Cgil risponderà. In ogni caso, ricorda Ghiglione: “I presupposti per migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle donne nel nostro Paese, e controvertere il dato che ci vede permanere da anni agli ultimi posti di tutte le graduatorie internazionali che registrano la parità di genere, sono chiari da tempo, peccato che il Governo Meloni non abbia mai investito per realizzarli e che non lo farà nemmeno con la prossima manovra di bilancio”.
L’ironia delle politiche di condivisione
C’è da ridere se non ci fosse da piangere di rabbia. Il quinto punto infatti è anacronistico: “Il Parlamento impegna il governo ad adottare iniziative volte a potenziare, per quanto di competenza, l'accesso ai servizi di supporto alla famiglia, come asili nido e scuole con orari prolungati, rafforzando la disponibilità anche di servizi di cura per gli anziani e i familiari con disabilità, attraverso: l'ampliamento dell'offerta di tali servizi su tutto il territorio nazionale, con particolare attenzione alle regioni del Mezzogiorno, al fine di consentire alle donne di partecipare attivamente al mercato del lavoro senza dover ridurre le proprie ore lavorative o abbandonare il lavoro…”
Ma la mano destra sa cosa fa la sinistra? Una delle tabelle che hanno accompagnato a Bruxelles il Piano Strutturale di Bilancio afferma che il governo ha abbassato la soglia di posti negli asili nido per le regioni meridionali al 15 per cento lasciando l’obiettivo nazionale al 33 per cento, dimenticandosi che gli unici Lep già vincolanti per legge sono proprio i posti in asilo nido, altro che Autonomia Differenziata qui siamo già alla differenziazione dei diritti per tabella.
Le nozze con i fichi secchi non si possono fare
Potremmo obiettare su ciascuno degli altri 20 punti ma per carità di patria evitiamo, la domanda vera è quella che pone la segretaria della Cgil: “Dove sono le risorse per creare nuova buona e stabile occupazione per le donne? Quelle per incrementare asili nido e servizi pubblici per la non autosufficienza? Quelle per il congedo di paternità paritario? Quelle per evitare che le donne siano povere e sole anche da pensionate?”.
Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire
“Noi siamo disponibili come sempre a confrontarci per rappresentare i bisogni e le necessità di milioni di donne - aggiunge la dirigente sindacale - ma a quanto pare il governo non ha voglia di ascoltare, ma anzi, nei fatti lavora per mettere in discussione l’emancipazione e l’autodeterminazione delle donne che colpevolizza anche riguardo al fenomeno della denatalità”. La verità è nelle conclusioni di Ghiglione: “È molto più facile approvare una mozione con tante promesse che rimangono lì sospese. Costa poco e si può fare bella figura. Finché non si scopre che rimarranno, appunto, parole”.