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Secondo i dati provvisori dell’Istat anche nel 2023 continua, nel nostro Paese, la diminuzione delle nascite: ben 3.500 nati in meno nei primi sei mesi dello scorso anno rispetto allo stesso periodo del 2022. Se allarghiamo lo sguardo e usciamo dai nostri confini ci accorgiamo che anche al di là di essi le cose non vanno meglio. Secondo un Rapporto di Eurostat (l’ufficio statistico della Ue) si scopre che nel 2022 i nuovi nati europei non arrivano ai 4 milioni (circa 3,9 milioni), 210 mila in meno del 2021, 540 mila in meno rispetto a dieci anni fa.
Pochi bimbi, tanti anziani
La dieta mediterranea, il clima mite, ma anche sistemi di sanità pubblica che nonostante i tagli e l’affermazione dell’ideologia neoliberista che sostiene che privato è bello, nella graduatoria dei 10 Paesi con il maggior numero di centenari ben 3 si trovano nel vecchio continente: Spagna, Francia e Italia. Bene, si dirà, ma se all’aumentare dell’aspettativa di vita e dell’età media si riduce il numero dei nati, allora si sposta verso l’anzianità l’età media della popolazione e si riduce il numero di lavoratori e lavoratrici.
Manca manodopera
Soprattutto mancherà. Sempre secondo l’Ufficio statistico di Bruxelles nel 2030 non si troveranno circa sette milioni di lavoratori e lavoratrici, passando da 265 milioni di europei in età lavorativa del 2022 ai 258 milioni nel 2030. E se non si farà nulla per invertire questa tendenza, il rischio è che nel 2050 si scenda fin sotto la soglia dei 220 milioni. Come si finanzierà il welfare, dalle pensioni alla sanità passando per l’istruzione con un gettito fiscale e contributivo sempre più ridotto? Appare chiaro che la denatalità è questione economica, sociale, politica e come tale andrebbe affrontata. Non è questione privata delle donne.
L’improvvisazione è nemica del bene
Le strategie da mettere in campo quindi devono essere plurali e multifattoriali, non ideologiche né stereotipate. Dovrebbero dispiegarsi in un tempo medio lungo, non cambiare a ogni mutamento di scenario governativo. La scelta di Meloni di trasformare il ministero per le Pari opportunità in quello per la natalità, la famiglia e le pari opportunità non attiene a scelte linguistico-nominalistiche, ma a convinzioni ideologiche da cui discendono modelli sociali e politici.
No a misure spot
“Se le coppie oggi non fanno figli non è perché il punto nascita più vicino dista da casa mezz’ora invece che dieci minuti, ma perché l’instabilità professionale, le retribuzioni basse e le discriminazioni fatte di pregiudizi e stereotipi che colpiscono le donne nel mondo del lavoro scoraggiano questa scelta”. A parlare è Lara Ghiglione, segretaria confederale della Cgil, rispondendo alla ministra Roccella che ha affermato in evento di Farmindustria che il governo ha fatto quel che andava fatto e ora tocca alle coppie e alle imprese fare il loro.
Aggiunge Ghiglione: “Le misure spot non bastano a migliorare la condizione delle donne e non servono a favorire la natalità”. Il raffronto tra i punti nascita e il diritto delle donne a esercitare la libera scelta sul proprio corpo è strumentale e sbagliato”, sostiene la dirigente sindacale. “Il governo e la ministra dovrebbero pensare a garantire alle donne tutti i diritti a partire da quello ad avere un lavoro stabile ed equamente retribuito. Presupposto – sottolinea la segretaria confederale – che l'esecutivo continua a ritenere secondario, come dimostrano tutte le classifiche che misurano la parità di genere e che vedono l'Italia agli ultimi posti".
Agire su più fronti
Se osserviamo l’Italia scopriamo che certo diminuisce di anno in anno il numero di figli per donna, ma si è anche ridotto, non di poco, il numero delle donne in età riproduttiva come diretta conseguenza dell’invecchiamento della popolazione. Insomma, di fronte a una sorta di tempesta perfetta nascono pochi bimbi, ma così andando ne nasceranno sempre meno perché diminuiscono e continueranno a diminuire le potenziali mamme. Da questa considerazione occorre partire.
Strategia multipla
Tra i maggiori studiosi dei fenomeni demografici è il professor Alessandro Rosina. Insegna Demografia e statistica sociale nella facoltà di Economia dell'Università Cattolica di Milano, dove dirige inoltre il “Center for Applied Statistics in Business and Economics”. Da tempo sostiene che occorre agire su piani diversi: “Una leva importante è quella dell'immigrazione, è stata usata in Germania che si trovava in condizioni simili all'Italia. In questo modo, da un lato, ha rafforzato il mondo del lavoro soprattutto immettendo manodopera stranieri in alcuni settori in forte carenza, dall'altro le coppie immigrate hanno irrobustito quella componente della popolazione in età riproduttiva che andava a ridursi”.
Farli arrivare non basta
Se questa è una strategia, occorre che – ad esempio – i figli e le figlie degli immigrati, nati in Italia che frequentano le nostre scuole e i nostri figli, non si sentano “stranieri per sempre” e magari possano accedere alla cittadinanza. Aggiunge a tal proposito Rosina: “Non basta avere solo braccia e manodopera, servono politiche di inclusione e di integrazione che aiutino poi a contribuire al modello sociale, economico e di sviluppo del Paese. Serve includere all'interno dei processi di formazione, serve anche il riconoscimento della cittadinanza per i ragazzi che frequentano le scuole. Servono politiche di integrazione e inclusione che consentono a chi arriva di sentirsi parte di un Paese che cresce con il loro contributo. Occorre abbandonare la logica dell'immigrazione come emergenza e considerarla parte integrante del modello sociale e di sviluppo del paese”.
Non solo immigrazione
Se mancano le politiche di conciliazione tra lavoro e famiglia, anche le donne immigrate si troveranno poi a rivedere al ribasso il numero di figli e a trovarsi in difficoltà a conciliare vita e lavoro. Se mancano le politiche per i giovani di conquista di un’autonomia dai genitori, politiche abitative, politiche nella transizione scuola lavoro, politiche di ingresso solido nel mondo del lavoro i nati e le nate non aumenteranno. Aggiunge il demografo: “La risposta alla bassa natalità è una combinazione di politiche familiari, politiche generazionali, politiche di genere e politiche migratorie. È la combinazione, appunto, di tutti questi aspetti che poi consente di rafforzare il contributo che gli immigrati, i giovani e le donne possono dare”.
Il lavoro prima di tutto
Se i possibili genitori tardano ad entrare nel mercato del lavoro, se quando ci riescono incontrano solo precarietà e bassi salari, se non sono in grado di garantire a se e ai possibili figli un tetto dignitoso sulla testa, se la cura di bimbi e bimbe ma anche di anziani e anziani ricade soprattutto sulle spalle delle donne, se loro in poche lavorano e se un’occupazione ce l’hanno, allora sono costrette ad abbandonarla alla nascita dei figli; così la curva demografica non invertirà il proprio corso. “Esiste un rapporto diretto tra occupazione femminile e natalità, quelli italiani sono i più bassi di Europa. Così come esiste un rapporto tra diffusione dei servizi, dai nidi a quelli per gli anziani e natalità e anche su questo siamo buon ultimi. In Francia la copertura dei nidi supera il 50% mentre da noi non arriva al 27% con una estrema differenza tra aree territoriali”.
Imboccare subito la strada giusta è indispensabile. Occorre puntare sulle politiche per il lavoro dignitoso, sulle donne, sui giovani, sui migranti. Esattamente quello che Meloni non fa.