Oggi,11 febbraio, è la giornata internazionale delle donne nella scienza e per questa occasione abbiamo deciso di raccontare, in un video, la storia di Rosalind Franklin.

Siamo a Londra, è il 1952 e Rosalind Franklin, una scienziata straordinaria, perfeziona il microscopio a raggi X e scopre che la struttura del DNA è composta da due catene distinte. Lo annota, ma il suo lavoro non viene pubblicato ufficialmente.

Tre colleghi – tre uomini – mettono le mani sulla sua ricerca e, quattro anni dopo la sua morte, vincono il Premio Nobel per quella che viene raccontata come la loro scoperta. Franklin? Nemmeno citata ma senza di lei, quella scoperta non sarebbe mai esistita.

La storia di Franklin non è un’eccezione. In Europa le donne rappresentano solo il 22% delle persone che lavorano nel settore tecnologico, nelle materie Stem solo una persona laureata su tre è donna. Abbassare le tasse universitarie o creare premi di consolazione non cambierà questi numeri. Perché il problema è culturale.

Il soffitto di cristallo sopra la testa delle donne che vogliono intraprendere una carriera scientifica si fa ancora più spesso. Gli ostacoli oggi sono meno visibili, ma più subdoli: dall’educazione che ci spinge verso i ruoli di cura, ai giocattoli che ci tengono lontane dalla tecnologia fin da bambine.

E per le poche che rompono gli schemi? Davanti a loro c’è un sistema costruito per escluderle o sfruttarle, per dimostrare che va tutto bene.

Se vogliamo davvero cambiare le cose, dobbiamo partire dalla base: l’educazione, l’accesso, l’inclusione, la rimozione di ostacoli strutturali, non la retorica vuota e formale delle “pari opportunità”.

Non esistono strade per uomini e strade per donne. Dovrebbero esistere solo spazi liberi per tutte, dove non dobbiamo più chiedere il permesso di entrare.