Su Collettiva ce ne siamo occupati più volte: nonostante slogan e promesse elettorali, in tre esercizi di governo l'esecutivo Meloni è riuscito persino a peggiorare quella che probabilmente passerà agli annali come una delle leggi più odiate dagli italiani negli ultimi decenni: ovvero la riforma del sistema previdenziale targata Monti-Fornero.

L’obiettivo, neanche tanto velato, è quello di posticipare il pensionamento a 70 anni, senza alcuna risposta per giovani, donne, coloro che svolgono lavori gravosi e usuranti e nessuna valorizzazione per il lavoro di cura.

Il superamento di questa legge è stato tra i motivi più importanti alla base dello sciopero generale di Cgil e Uil dello scorso 29 novembre. Ora c’è un altro appuntamento fondamentale, una grande occasione di partecipazione che permetterà ai cittadini e alle cittadine di dire la loro: quello dei referendum promossi dalla Cgil e per i quali si voterà in primavera.

Lavoro stabile significa una previdenza certa

Se è vero che nessuno di essi è specificamente dedicato al tema pensioni, è altrettanto vero che, ancor di più in un sistema contributivo (l’assegno verrà calcolato in proporzione ai contributi versati) “il lavoro stabile e dignitoso è essenziale per la sostenibilità del sistema previdenziale. Votando sì ai referendum della Cgil possiamo fermare la precarietà, stabilizzare il lavoro, e costruire un futuro di diritti e sicurezza per tutte e tutti”. Questo si legge in un prezioso volantone che riassume in sintesi tutte le nefandezze che il Governo Meloni ha fatto in questi anni con unico obiettivo: tagliare risorse alla previdenza in barba al futuro di chi nel corso della sua vita ha lavorato e versato contributi per una pensione dignitosa.

L’azzeramento della flessibilità in uscita

Fa una certa impressione vedere questi tagli messi in fila. A cominciare dall’azzeramento della flessibilità in uscita, se è vero che nel 2024 registriamo un meno 15,7% delle pensioni anticipate rispetto al 2023. A essere azzeratata Opzione donna (con un taglio del 70,92% delle domande del 2024 confrontate con quelle del 2023) e nel 2025 il taglio sarà ancora più alto.

Drasticamente penalizzate anche Quota 103, prorogata, ma con il ricalcolo contributivo e dunque con un importante taglio sul calcolo della pensione. Per non parlare di Ape sociale, che è stata confermata, ma con l’incremento dell’età da 63 a 63 anni e 5 mesi.

La retorica sui giovani

Altro che pensione di garanzia come risposta alle difficoltà dei giovani nel mercato del lavoro. La direzione è opposta: dal 2030 per coloro che sono destinatari del sistema contributivo, viene innalzata a 3,2 volte l’assegno sociale la soglia per accedere al pensionamento anticipato a 64 anni (da 1.313 euro del 2022 si passerà almeno a 1.720 – con un aumento di 407 euro).

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In pensione sempre più tardi e più poveri

Non solo: dal 1° gennaio 2025 le pensioni saranno più povere con l’abbassamento dei coefficienti di trasformazione. Nel 2027 il requisito per andare in pensione aumenterà di 3 mesi e nel 2029 di 2 mesi, spingendo l’età pensionabile ancora più in avanti. L’Italia è l’unico Paese in Europa dove i lavoratori subiscono un doppio svantaggio: età pensionabile sempre più alta e assegni sempre più bassi.

La scure sui lavoratori pubblici

Vengono elevati i limiti ordinamentali a 67 anni, penalizzando ulteriormente le lavoratrici e i lavoratori pubblici, con un ulteriore allungamento per il sequestro del Tfs/Tfr. Confermati poi i tagli al calcolo delle pensioni anticipate: con la revisione retroattiva delle aliquote di rendimento, per coloro che sono iscritti alle gestioni Cpdel (enti locali), alla gestione Cps (cassa sanitari) o alla gestione Cpug (degli ufficiali giudiziari) o alla gestione Cpi (insegnanti di asilo o scuole elementari parificate).

Ancora: il possibile trattenimento in servizio per i pubblici fino a 70 anni, rischia di penalizzare ulteriormente le lavoratrici e i lavoratori, vista la discrezionalità delle amministrazioni a trattenere i lavoratori fino al 10% per attività di tutoraggio e affiancamento. Di pari passo non c’è nessun rilancio del sistema pubblico, con un taglio del 25% del turn-over occupazionale.

E per chi è già in pensione non va meglio

I tagli alla perequazione per il 2023 e il 2024 non saranno più recuperabili: per una pensione netta di 1.700 euro la riduzione, calcolando l’attesa di vita, è di circa 7 mila euro. Tutti motivi che fanno dire alla Cgil che “la vertenza sulle pensioni continua”.

E che, “nonostante gli slogan di superamento della legge Monti-Fornero e 41 anni di contributi per accedere al pensionamento, dopo tre leggi di bilancio il Governo è riuscito nell’impresa clamorosa di peggiorare quella legge così tanto criticata e allontanare il traguardo pensionistico per tutte e tutti”. I referendum entrano a pieno titolo in questa lotta.