Altro che autonomia differenziata di là da venire. L’Agenas certifica che i cittadini e le cittadine del Sud per curarsi vanno al Nord – ovviamente chi può – e così le regioni meridionali finanziano quelle settentrionali. Si assiste così a una doppia beffa, da un lato la sanità dei territori sotto il Garigliano riceve risorse insufficienti per riuscire a garantire servizi e Lea, dall’altro una parte non piccola di quelle risorse viene trasferita proprio dove già sono servizi migliori e più risorse. E la mobilità sanitaria nel 2023 è tornata intensa come prima del Covid.

L’analisi dei dati della mobilità sanitaria

Ogni analisi prevede metodo, ed allora Agenas ci spiega che occorre saper distinguere perché non tutte le “mobilità” sono uguali: esiste una mobilità apparente, è quella costituita dai ricoveri effettuati nella regione di domicilio del paziente che non coincide con quella di residenza formale. La mobilità casuale riguarda i ricoveri effettuati in urgenza quando ci si trova altrove dalla propria casa, infine la mobilità effettiva è quella determinata dalla scelta del cittadino o della cittadina che sceglie dove farsi curare. Sarà un caso che bel oltre la metà della mobilità apparente e casuale si rivolge al pubblico mentre il resto al privato accreditato?

La certificazione delle diseguaglianze

I numeri come al solito non mentono, la regione che più attrae cittadini e cittadine bisognosi di cure è l’Emilia-Romagna, lì si reca il 52% di quanti si spostano; in Veneto va il 43% mentre in Lombardia il 31%. E a questo corrispondono risorse in entrata e in uscita. Se in Emilia-Romagna e in Veneto nel 2023 sono arrivati oltre 380 milioni di euro, la Campania ne ha versati oltre 210 milioni e la Calabria circa 190 milioni. Il commento di Daniela Barbaresi, segretaria nazionale della Cgil è netto: “I dati Agenas certificano la crescita della privatizzazione della salute e delle diseguaglianze tra persone e territori. Chiaro indicatore delle politiche del Governo Meloni: cure per chi può pagare e può permettersi di spostarsi, mentre lavoratori e pensionati sono sempre più poveri e 4,5 milioni di persone rinuncia a curarsi.

Negato il rispetto di Lea

Perché si migra? Ha dirlo è sempre Agenas che spiega come tra le ragioni della mobilità vi siano tempi di attesa per i ricoveri troppo lunghi o la saturazione delle agende per le prestazioni sanitarie. Ed infatti ci si sposta non solo da Sud verso Nord, soprattutto per i ricoveri per patologie e interventi complessi, ma anche verso le regioni limitrofe. Si legge nel rapporto: “Il flusso migratorio per ricoveri ospedalieri è prevalentemente diretto da Sud a Nord. Tuttavia, si rileva anche una mobilità significativa tra le regioni del Centro-Nord, soprattutto quelle di confine. In termini percentuali, il flusso migratorio è così suddiviso: 83,78% al Nord, 68,24% al Centro, e 27,22% al Sud”.

Il pericolo autonomia

Se la situazione è questa descritta da Agenas, cosa potrebbe accadere se quella sciagurata legge Calderoni, ancorché sforbiciata dalla Corte Costituzionale, entrasse pienamente in vigore? Peraltro in assenza della definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, visto il sostanziale fallimento della Commissione Cassese? Aggiunge la segretaria della Cgil: “L’autonomia differenziata, se non fermata, è destinata a dare il colpo mortale alla sanità pubblica e a mettere inesorabilmente in discussione i principi fondamentali del Ssn - universalismo, uguaglianza ed equità – che già oggi non vengono garantiti a tutti a causa dei forti divari territoriali”. Non rimane che aspettare il pronunciamento di ammissibilità della Corte Costituzionale, che dopo il via libera della Cassazione, consentirà l’apertura della campagna elettorale per il referendum contro l’autonomia differenziata insieme ai 4 quesiti sul lavoro e a quello sulla cittadinanza per arrivare alla primavera della democrazia.

Privatizzazione strisciante e costante

“Le strutture ospedaliere maggiormente attrattive –certifica sempre l’Agenas - sono quelle private accreditate, che gestiscono circa i tre quarti delle prestazioni di alta complessità”. Più chiaro di così non si può.

Alla fiera della propaganda

Il governo si è impantanato, chissà se riuscirà a far approvare la manovra entro l’anno, pena l’esercizio provvisorio. Eppure una cosa è certa, mentre Meloni ovunque si trovi non fa altro che magnificare quanto sta facendo per la sanità, i numeri reali del finanziamento del Fsn non cambiano. Sottolinea Barbaresi: “Continua la propaganda governativa, ma la verità dei numeri è quella di continui tagli e ulteriore arretramento dell’investimento nel Servizio sanitario nazionale. Già quest’anno la spesa per il Ssn è scesa al 6,1% del Pil: il valore più basso degli ultimi decenni, con la prospettiva di scendere al 6,0% nel 2025 fino a precipitare al 5,6% nel 2030, ovvero un punto in meno di Pil rispetto a quando si è insediato il Governo Meloni, equivalente a oltre 20 miliardi di euro in meno all’anno”.

La strada da seguire è una

La via maestra anche per ridurre la mobilità sanitaria è semplice, è quella del rispetto della legge che nel 78 istituì il Servizio sanitario nazionale volendo pubblico e universale, e quindi necessariamente dotato di finanziamenti adeguati. “Senza adeguati finanziamenti - conclude Barbaresi - e politiche e volte al rafforzamento del Ssn, in termini di personale, strutture e servizi è sempre più concreto il rischio (in certe situazioni inizia già a essere realtà) che salute e sanità tornino ad essere privilegio per pochi”.