Tradimento: questo il termine esatto per definire quanto il governo Meloni e il ministro Schillaci, nello specifico, hanno fatto e non hanno fatto per tradurre in opere e politiche l’articolo 32 della Costituzione. Non solo, ma all’appuntamento che si apre ad Ancona il prossimo 9 ottobre si presentano con una serie di insufficienze rispetto agli obiettivi che gli stessi ministri della salute, riunitisi lo scorso 28 febbraio in vista dell’appuntamento di ottobre, avevano definito.

Il rafforzamento della prevenzione lungo tutto l’arco della vita per un invecchiamento sano e attivo; il rafforzamento dell’architettura sanitaria globale per promuovere la preparazione e la risposta alle future pandemie; la promozione dell’approccio One Health per la tutela della salute umana, animale e ambientale. Meloni e Schillaci porteranno ad Ancona il definanziamento della sanità pubblica, siamo al 6,2% sul Pil ben al di sotto della soglia del 6,5% che secondo l’Oms è il minimo per non mettere a rischio la salute pubblica. Non solo, questo governo è riuscito a ridurre i fondi europei destinati dal Pnrr all’edilizia sanitaria, a tagliare il numero di case e ospedali di comunità previsti e non è ancora riuscito nemmeno ad adeguare i posti letti di terapia intensiva. Per non parlare della carenza di organico e della fuga degli operatori e operatrici sanitari dalle strutture pubbliche, l’allungamento delle liste di attesa al posto della riduzione e della non copertura di tutte le borse di specializzazioni messi a bando. Davvero un bel risultato dopo due anni di governo.

Daniela Barbaresi è segretaria confederale della Cgil con delega al welfare, da tempo insieme alla Confederazione, si batte per un adeguato finanziamento del Ssn e soprattutto per evitare la strisciante privatizzazione della sanità italiana. Ad Ancora, mercoledì 9 ottobre, parteciperà ad una iniziativa dal titolo emblematico: “Contro il mercato della salute”.

Segretaria il nostro Paese si presenta a questo appuntamento con la sanità pubblica in grave affanna, che figura facciamo?

Non è bella la figura che facciamo. Partiamo dai numeri, l’Italia si presenta al cospetto degli altri 6 paesi più industrializzati e al mondo spendendo nel 2023 solo il 6,2% del Pil per la sanità pubblica. Non solo, annuncia forte e chiaro che questa tendenza al sottofinanziamento del Ssn continuerà anche per i prossimi anni, visto che per il 2025 si prevede di confermare il 6,3% previsto per il 2024 mentre dal 2026 si scenderà di nuovo al 6,2%. Per il 2024 la spesa sanitaria si attesta a 137,9 miliardi (800 milioni di euro in meno di quanto previsto nel Def), come dicevo pari al 6,3% del Pil, e anche in questo caso più basso rispetto al 6,4% previsto nel Documento di economia e finanza. Altro che aumento come non mai di stanziamenti che “L’ufficio propaganda” di Palazzo Chigi continua a raccontare. Tra la narrazione e la realtà sono i numeri a fare la differenza. Negli ultimi decenni non si è mai visto un finanziamento così basso del settore. Non solo, visto che attorno al tavolo Schillaci troverà a discutere i ministri della salute di Canada, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti d’America, il presidente del Consiglio d’Europa e la presidente della Commissione europea, è bene ricordi che secondo i dati Ocse l’Italia è il Paese che spende meno: il 13,8% negli Stati Uniti, l’8,9% nel Regno Unito, il 10,9% in Germania. Peraltro l’Italia è anche l’unico Paese del G7 nel quale, rispetto a 10 anni fa, la spesa sanitaria pubblica in rapporto al Pil è diminuita, mentre cresce prepotentemente quanto i cittadini sono costretti a spendere di tasca propria, che arriva a oltre 46 miliardi di euro. Davvero un brutto biglietto da visita.

Quel che lascia perplessi è che pensavamo la pandemia avesse insegnato qualcosa a chi ci governa

Siamo passati dal 7,4% di finanziamento della spesa della sanità pubblica nel 2020 all’attuate 6,2%. E per di più rispetto a prima del Covid davvero poco è stato fatto in merito alla costruzione di quella sanità di territorio che allora si dimostrò indispensabile a fronteggiare ipotetiche ma possibili altre emergenze. Assistenza territoriale significa cure primarie, non autosufficienza, assistenza domiciliare, consultori, salute mentale… Non solo, vorrei ricordare che mancano due anni alla scadenza del Pnrr e proprio la Missione salute è quella più indietro di tutte nell’attuazione.

Già oggi ben 8 regioni non raggiungono nemmeno la soglia minima di rispetto dei livelli essenziali di assistenza. Un bimbo che nasce in Campania ha un’aspettativa di vita di 3,2 anni più bassa di un bimbo che nasce a Bolzano o a Bologna. Che preoccupazioni hai rispetto all’autonomia differenziata?

Siamo oggi costretti a fare i conti con disuguaglianze inaccettabili. Ricordavi il tema dell'aspettativa di vita alla nascita, ma c'è anche quello dell'aspettativa di vita in buona salute rispetto alla quale le diseguaglianze sono ancora più accentuate tra i cittadini del Nord e quelli del Sud, ma anche all’interno della stessa regione tra aree metropolitane e zone interne. Disequaglianze profonde che costringono migliaia di cittadini a un’elevata mobilità passiva dei cittadini delle regioni del Sud verso il Nord, spesso verso la sanità privata del Nord.

L’autonomia differenziata può rappresentare un elemento di ulteriore aggravamento di questa condizione, basti pensare a cosa succederà quando le Regioni più ricche potranno trattenere, anche solo in parte, i propri residui fiscali. E poi si innescherebbe un ulteriore competizione tra Regioni che potranno pagare di più il personale sanitario e le altre con un ulteriore impoverimento di queste ultime. Una vera follia incostituzionale. Va ricordato che l’art. 3 della Costituzione attribuisce alla Repubblica il compito di rimuovere le diseguaglianze, non accrescerle ulteriormente.

Questo il presente. Ora siamo in attesa della manovra di bilancio, il governo ha presentato alle Camere il Piano strutturale di bilancio, c’è un’inversione di tendenza che sia finalmente coerente con annunci e promesse?

Purtroppo assolutamente no. Annunci e promesse continuano ad essere profusi a piene mani, ma le conseguenti risposte economiche no. Basti pensare che proprio il ministro Giorgetti, nel presentare il Psb ha affermato: “Il governo conferma l’obiettivo di sostenere la spesa sanitaria” con un “Piano che non lascia indietro nessuno”, che “si concentra sulla qualità del servizio sanitario”, e che si impegna “a salvaguardare il livello di spesa sanitaria assicurandone una crescita superiore a quella della spesa netta”. Peccato che queste affermazioni non siano confermate né dai numeri né dalle politiche, mentre assistiamo all’arretramento del servizio sanitario nazionale a beneficio di soluzioni che favoriscono il privato. Un esempio su tutti? Nel decreto estivo sulle liste di attesa, di fatto, si sono sottratte risorse alle strutture pubbliche per darle a quelle private, e la domanda è: come si possono erogare più prestazioni con menosoldi? Ma nessuno ha risposto, ecco questa è la filosofia di fondo del governo, una privatizzazione non esplicita e non dichiarata ma praticata e progressiva della sanità. Siamo al punto che nel Piano strutturale di bilancio è messa nero su bianco l’intenzione del governo di ricorrere a strumenti finanziari e al partenariato pubblico-privato che aprono alla privatizzazione dell’assistenza territoriale e dell’edilizia sanitaria, così come lo sviluppo dei fondi sanitari integrativi con benefici solo per gli iscritti. A questa filosofia ci opponiamo e ci opporremo con tutti gli strumenti e le forze di cui disponiamo.

Infine, cosa consegna la Cgil al G7 della salute?

La convinzione che la tutela della salute è un diritto fondamentale riconosciuto dalla Costituzione repubblicana e quindi l’esigibilità di questo diritto deve essere concreta per tutte e tutti. Siamo convinti che il rilancio della sanità pubblica non sia più rinviabile, per questo la mobilitazione per un Ssn, forte, pubblico e universale assume ancora maggiore importanza. Un primo appuntamento è la manifestazione del 19 ottobre prossimo promossa dalle categorie del pubblico impiego di Cgil e Uil per la salute, i salari, i diritti e l’occupazione: parole d’ordine che sono parte essenziale dell’iniziativa e della piattaforma confederale che ha già portato migliaia di persone a manifestare in piazza per la sanità pubblica nella primavera scorsa e tantissime ne vedrà il 19 a Piazza del Popolo a Roma. Solo con una forte mobilitazione, facendo rivivere quell’alleanza tra operatori e operatrici sanitari, lavoratori e lavoratrici, pensionati, cittadine e cittadini che nel 1978 conquistò la legge istitutiva del servizio sanitario nazionale, oggi riusciremo a salvarlo e a rilanciarlo.

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