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Si terrà martedì 18 febbraio, alle 9.30, presso il dopolavoro Isab Lukoil, nel cuore dell’area industriale di Siracusa – via Edoardo Garrone n.10 –, un incontro pubblico, promosso dalla Cgil insieme alle categorie interessate, per discutere del piano industriale dell’Eni e delle conseguenze disastrose che produrrebbe la chiusura della chimica di base.
Cgil: a rischio 20 mila posti di lavoro in Sicilia e Puglia, con un effetto a catena sugli altri siti italiani
Secondo le stime del sindacato, sono a rischio in Sicilia e Puglia 20 mila posti di lavoro, senza contare l’effetto negativo a catena sugli altri siti italiani. L’iniziativa del 18, che vuole essere una occasione di confronto e di sensibilizzazione innanzitutto della classe politica e dirigente dell’Isola, è l’ultima di un ciclo di incontri nei siti Eni, decisi dalla Cgil. Il dibattito, presieduto da Gabrielle Messina, segretaria confederale della Cgil Sicilia, vedrà la partecipazione del segretario generale della Filctem nazionale, Marco Falcinelli, e della segretaria nazionale Fiom, Barbara Tibaldi. Concluderà il segretario confederale della Cgil nazionale, Pino Gesmundo.
Interverranno al dibattito rappresentanti delle istituzioni regionali, deputati nazionali, esperti, lavoratori e lavoratrici coinvolti nella crisi. Eni, ricorda una nota della Cgil Sicilia, ha deciso di chiudere dal primo gennaio la produzione a Versalis a Ragusa e dal 31 dicembre 2025 quella a Priolo, prospettando indefiniti progetti di reindustrializzazione. “Un progetto di dismissione – si legge nella nota –paradossalmente avallato dal governo, dal momento che Eni è un’azienda partecipata dallo Stato. Eni decide come un qualsiasi fondo di investimento privato estero di togliere al Paese, con l’avallo del Governo nazionale e il silenzio del Governo Regionale, l’asse portante dell’assetto industriale, quali sono appunto i cracking, e offre in cambio una nuova bioraffineria e solo una serie di titoli senza alcuna garanzia per lo sviluppo e gli occupati”.
Il destino incerto di Ragusa e Priolo
“Per Ragusa, Eni senza dire come, quando e con quali autorizzazioni, – continua la nota del sindacato – prospetta un centro direzionale, la lavorazione di materie prime derivanti da oli esausti, scarti animali e
agricoli e impianti sperimentali di riciclo meccanico e di una filiera agricola che impegnerebbe, se fosse vero, un’area pari al 10% del territorio. Mentre per Priolo una bioraffineria e un impianto di riciclo chimico per produrre olio di pirolisi da plastiche miste che, però, considerato il procedimento di pirolisi, per essere tale avrebbe a quel punto bisogno proprio del cracking che invece l’azienda vuole chiudere”.
La Cgil rileva che “senza mantenere gli impianti di cracking nazionali anche la futura bioraffineria nel sistema infrastrutturale di quelle aree industriali rischierebbe di essere un corpo a sè, incapace com’è di essere volano di sviluppo per altre e nuove attività collegate”. Per il sindacato “in Italia si sta decidendo , al contrario di quanto avviene in Europa, per garantire soltanto gli immediati profitti degli azionisti privati di Eni, di abbandonare la produzione di etilene e propilene, materie indispensabili non solo per l’ineludibile transizione ambientale, ma anche per tutti gli altri settori dell’industria italiana, e di consegnarsi quindi a una dipendenza economica dagli altri paesi, che porterà levitazione di costi, perdita di competitività, sacrificio di posti di lavoro, facendo aumentare peraltro i valori di CO2”. E questo “colpendo soprattutto le aree più in difficoltà del Paese”.