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Quando si dice che il patriarcato e il maschilismo non solo non sono morti ma dispiegano attivamente le loro infide armi vorremmo avere torto, ma purtroppo le conferme della loro esistenza arrivano quotidiane. I dati sulle molestie nei luoghi di lavoro sono lì a testimoniarlo.
Così Lara Ghiglione, segretaria nazionale della Cgil: “Non stupisce affatto, e non è casuale, che a subire molestie sul luogo di lavoro siano soprattutto le donne e che a metterle in atto siano in larga percentuale colleghi maschi, non raramente ‘superiori’ o datori di lavoro. È il permanere di una cultura che oggettivizza le donne, relegandole a ruoli stereotipati, a creare terreno fertile per questa specifica tipologia di molestia”.
Le molestie nei luoghi di lavoro
Questa volta è l’Istat a richiamare alla cruda realtà: nei luoghi di lavoro le molestie sono purtroppo diffuse. Scrive l’Istituto: “Nel 2022-2023 si stima che il 13,5% delle donne di 15-70 anni, che lavorano o hanno lavorato, abbia subito molestie sul lavoro a sfondo sessuale nel corso dell’intera vita (soprattutto le più giovani di 15-24 anni, 21,2%) e il 2,4% degli uomini di 15-70 anni. In particolare si tratta di sguardi offensivi, offese, proposte indecenti, fino ad atti più gravi come la molestia fisica”.
Dietro di esse si cela una duplice violenza: quella che esercitano gli uomini nei confronti delle donne convinti di un loro doppio “potere”, in quanto maschi e in quanto superiori gerarchicamente. Uomini che ritengono di essere potenti, a cui nessuna può dire di no. Le donne, aggiunge la dirigente sindacale, “sono più discriminate, precarie e ricattabili nel mercato del lavoro: anche per questa ragione i nostri referendum, che perseguono lo scopo di rendere il lavoro più sicuro, stabile, tutelato e dignitoso, possono determinare un netto miglioramento delle condizioni generali delle lavoratrici, anche per prevenire e contrastare ogni forma di molestia e violenza”.
Conta l’età, conta il titolo di studio
Diversamente da quel che si potrebbe erroneamente credere, più il titolo di studio che si è conseguito è elevato, maggiore è il rischio di subire molestie. “Il 14,8% delle donne di 15-70 anni di età, che sono in possesso di una laurea le subisce, contro il 12,3% di quelle che possiedono un titolo medio-basso”. Ciò che invece non fa differenza è se si lavora per il pubblico o per il privato. Questo non fa che confermare l’assunto iniziale: ciò che spinge gli uomini a molestare è una malata concezione del potere da esercitare nei confronti delle donne. Serve ancora una conferma? È sempre l’Istat a fornirla quando attesta che i pochi uomini che subiscono molestie sono quelli che si trovano nei ruoli apicali, mentre tra le donne sono più a rischio le operaie (16,4%) e le impiegate e i quadri direttivi (15%).
Oltre le molestie, i ricatti
Già, perché sempre quella concezione malata del potere fa sì che venga esercitato anche sotto forma di ricatto: ti do un lavoro, non ti mando via, ti promuovo se tu… L’Istat sostiene che negli ultimi tre anni precedenti quello della rilevazione (2022-23) i casi di ricatti sessuali sul o per il lavoro siano un po’ diminuiti. Domanda: non sarà che quel triennio corrisponde a quello della massima potenza del Covid? In ogni caso i dati di quante abbiano subito un ricatto sessuale sono rilevanti: “Lo 0,5% delle donne che lavorano o hanno lavorato, fra le donne più giovani 2,9% in età 15 -24 anni, 1,1% tra le 25-34enni”. Lo 0,5% delle donne che lavoro sono 65.000, mentre nella rilevazione precedente, quella prima del lockdown che ha tenute e tenuti tutti a casa, erano 1,1%. E guarda un po’, nel 96% dei casi il ricattatore è un uomo.
I numeri che sconcertano
Quello che dovrebbe far più scandalo è ciò che l’Istat illustra sugli esiti dei ricatti: “Nel 39,8% dei casi è stata fatta la scelta di non accettare il ricatto e rinunciare al lavoro. Il 12,6% delle donne che hanno subito ricatti negli ultimi tre anni è stata licenziata o messa in cassa integrazione o non è stata assunta, mentre nel 23,1% dei casi non vi è stato alcun esito”. Se proviamo a tradurre questi numeri scopriamo che il 40% delle ricattate, per non sottostare al ricatto, abbandona il lavoro, e quasi il 13% di quante sono state ricattate sono state licenziate o messe in cassa integrazione. Cioè oltre la metà non ha più occupazione. Altro che diritto sul quale si fonda la Repubblica.
Il ricatto rimane segreto
Le donne denunciano poco. Succede quando subiscono violenza domestica, succede quando sono ricattate sessualmente nel o per il lavoro. Le motivazioni della mancata denuncia sono sempre le stesse. Se è così, allora, dovrebbe essere la società ad interrogarsi. La paura di non essere credute e di essere, invece, giudicate, per quanto riguarda i ricatti sul lavoro è pari al 33,5%; la vergogna e l’autocolpevolizzazione al 23,5%; la scarsa fiducia nelle forze dell’ordine al 16,7%. Ma quel che più sconcerta, almeno noi, è che il 33,5% delle donne che subiscono ricatto non denuncia perché non lo ritiene un fatto grave. E il 64,8% delle intervistate dichiara di non sapere a chi rivolgersi.
Le proposte
Si può e si deve intervenire. A dire come è ancora Ghiglione: “Fondamentale è favorire l’acquisizione di consapevolezza e cambiare la cultura sessista e patriarcale, spesso presente nei luoghi di lavoro, anche al fine di contrastare la colpevolizzazione delle donne vittime di molestie. La formazione è quindi necessaria: da tempo stiamo chiedendo di inserire un modulo specifico per il contrasto alla violenza e alle molestie, nella formazione obbligatoria su salute e sicurezza. La percezione di mancanza di punti di riferimento e di supporto rende ancora più difficile per le vittime fare emergere e denunciare gli abusi. Per questo formare il personale, le delegate e i delegati sindacali e creare contesti di lavoro protetti e non giudicanti deve essere uno specifico impegno del sindacato”.
Per una volta chiediamo un reato
Se è vero che questo governo esprime, attraverso atti normativi, una tendenza securitaria nei confronti, però, solo di chi è fragile o marginale, per una volta a chiedere norme specifiche è la Cgil. Propone infatti la segretaria: “Riteniamo necessaria l’introduzione di una specifica fattispecie riguardante le molestie sul lavoro”. Ma la prima donna alla presidenza del Consiglio sembra non accorgersi di quanto accade nei luoghi di lavoro. E pur affermando che non è sua intenzione, ad esempio, modificare la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, fa aprire le porte dei consultori alle associazioni antiabortiste e non ha nulla da eccepire contro la proposta di legge di dare 1.000 euro a quelle donne che decidono di non abortire.
La conclusione di Ghiglione è amara e netta: “Dobbiamo constatare che, a fronte di queste necessità, l’impegno del governo va in tutt’altra direzione. Si cerca infatti di relegare le donne al ruolo di madri e mogli, anche attraverso pesanti ingerenze che riguardano la loro autodeterminazione, senza nessun investimento concreto per promuoverne la piena partecipazione nella vita economica, sociale e politica del Paese. Un’idea di Paese che la Cgil contrasta e contrasterà sempre”.