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C’è un filo conduttore che lega tutti gli interventi del governo sulle politiche di genere. O meglio rispetto a ciò che i partiti di maggioranza ritengono essere le politiche di genere: le donne sono e dovrebbero essere prima di tutto madri. L’Italia è nel pieno di un inverno demografico, quindi ogni intervento deve mirare a sostenere e incentivare la maternità. Se poi le donne vogliono anche lavorare bene, ma comunque tutto sta sulle loro spalle e sulla loro capacità di sopportare la fatica. Non è un caso che di congedo genitoriale paritario nemmeno a parlarne, per i padri italiani al massimo dieci giorni.
Ma proprio oggi, 26 giugno, Meloni ha affermato in parlamento che porterà la questione demografica nell’agenda dell’Unione europea.
Si avvicina la sessione di bilancio. Pima ancora il Parlamento dovrà approvare la nota di variazione del Def, Documento di economia e Finanza che quest’anno, più che nel passato, è stato sostanzialmente un elenco di buone intenzioni senza dar conto di numeri e previsioni di risorse da investire: questa allora la critica maggiore della Cgil. Tra le questioni da affrontare, ci sono le politiche di pari opportunità per favorire l’occupazione femminile e magari il superamento del differenziale salariale tra donne e uomini. Le ministre del Lavoro Calderone e quella alla Natalità, la famiglia e le pari opportunità Roccella, hanno – come giusto che sia – avuto interlocuzioni con le parti sociali. Al momento il giudizio delle segretarie confederali Lara Ghiglione e Maria Grazia Gabrielli è tra lo sconcertato e il negativo.
Sconcertato perché per l’ennesima volta l’interlocuzione è solo apparente: nella realtà nessuna sostanza e nessuna risposta alle domande che le dirigenti sindacali hanno provato a sottoporre all’attenzione delle ministre. Negativo perché l’impostazione di Calderone e Roccella non si discosta minimamente dall’idea della donna che prima di tutto deve fare figli e accudirli. Per di più il nulla sulle risorse disponibili.
Questa volta una ragione al nulla probabilmente c’è: né Calderone né Roccella, e probabilmente nemmeno Giorgetti, hanno idea di come sarà composto il bilancio del prossimo anno, quali poste di spesa e con quale dotazione economica saranno previste. Già, perché nonostante i trionfalismi governativi sulle magnifiche sorti del bel Paese sostenute dalle politiche della destra, l’unica cosa certa è che lo scorso 19 giugno la Commissione europea ha aperto una procedura per deficit eccessivo nei confronti dell’Italia, e di altri sei Paesi tra cui la Francia. La soglia da non superare, secondo il nuovo Patto di stabilità approvato proprio da Meloni e Giorgetti, è del 3%. Noi siamo arrivati nel 2023 al 7,4%, e quindi bisognerà trovare 10-12 miliardi l’anno per i prossimi tre anni per rientrare nei ranghi. Se il Mef non ha ancora idea di come farà a trovare le risorse che servono per confermare il taglio del cuneo fiscale, figurarsi se hanno cominciato ad appostare risorse per le politiche di genere.
Le due ministre non perdono occasione per elencare quanto di buono e bello avrebbero fatto per le donne italiane. Elenco ripetuto da Meloni il 26 giugno nel corso delle comunicazioni alle Camere in vista del Consiglio europeo: bonus e incentivi, rifinanziamento dell’assegno unico, criticando il fatto che da Bruxelles abbiano detto che non si può escludere da questa misura i figli e le figlie delle coppie immigrate. Poi abbattimento delle spese per il nido dal secondo figlio, dimenticandosi di dire che la misura – peraltro criticata dalla Cgil proprio perché temporanea – scadrà a fine anno e per come è congegnata può essere utilizzata da un numero non elevato di lavoratrici. Proprio questo governo ha ridotto di 100.000 i posti nei nidi previsti dal Pnrr. Ovviamente le ministre hanno glissato sull’aumento dell’Iva su assorbenti, pannolini e prodotti per la prima infanzia.
Per la Confederazione gli incentivi una tantum rimangono una misura debole se non resa strutturale. Il tema, assai rilevante, da affrontare è quello della qualità del lavoro femminile sia in termini di orari che di mansioni. E gli incentivi è apprezzabile che siano destinati all'occupazione a tempo indeterminato. Precarietà e lavoro povero sono assai diffusi tra le lavoratrici, ed è sempre bene ricordare le l’Italia è fanalino di coda per occupazione femminile in Europa. Gli ultimi dati Istat dicono nel gennaio 2024 si è registrato un tasso di occupazione femminile che sfiora il 53% mentre quello della media europea supera il 69%.
Ben oltre il 50% del lavoro part time è svolto dalle donne che non lo scelgono ma è imposto; insieme a questo il gender gap invece che ridursi si approfondisce, molto del lavoro povero è donna. “Un tema, quello del part-time – sottolineano Gabrielli e Ghiglione - che merita specifica attenzione perché generatore di lavoro povero e di una quota importante di lavoro irregolare in particolari settori, a partire da quelli dei servizi alle famiglie”.
Per le segretarie confederali è indispensabile chiudere con la stagione dei bonus e degli interventi spot, così come è indispensabile reintrodurre le clausole di condizionalità finalizzate all’assunzione delle donne per i bandi del Pnrr che questo governo ha eliminato. Lo scopo di quella clausola era, e dovrà tornare ad essere, non solo quella di far aumentare l’occupazione femminile in generale, ma di riuscire a rompere la segregazione orizzontale che vede le donne assai poco presenti in alcuni settori del mercato del lavoro.
Una richiesta alle ministre Ghiglione e Gabrielli l’hanno inviata: quella di promuovere finalmente un confronto vero, che veda sul tavolo politiche, provvedimenti e risorse per finanziarli e la disponibilità al confronto. Magari dando vita a “incontri ristretti” per poter approfondire.
Secondo le dirigenti sindacali è necessario riprendere la discussione rispetto alla Certificazione di parità, strumento previsto dal Pnrr ma non se ne sa nulla. È indispensabile che il governo convochi al più presto il tavolo di lavoro permanente sulla certificazione di genere alle imprese; si è riunito una sola volta il 13 settembre 2022, a Palazzo Chigi c’era ancora Mario Draghi.
Il sindacato può svolgere e dovrebbe svolgere su questi temi – a cominciare dalle strategie utili a promuovere occupazione femminile di qualità - un ruolo importante; ma perché questo sia possibile occorre riattivare e rendere realmente operativi i vari luoghi di confronto, a partire dal Comitato nazionale di parità del ministero del Lavoro, scaduto ormai a luglio 2022, e dall’Osservatorio sull’integrazione delle Politiche di genere.