PHOTO
Producono il 9,2 per cento del pil e rappresentano il 12,5 per cento dell’occupazione in Italia. Per sottolinearlo, e per chiedere maggiore rispetto dei loro diritti, otto lavoratori stranieri su dieci sono pronti a scioperare. È quanto emerge dal dossier “Lavoro, diritti e integrazione degli immigrati in Italia” realizzato dall’Eures. La fotografia scattata dall’Istituto di ricerche economiche e sociali parla di un buon rapporto tra immigrati e ambiente lavorativo, ma anche d’insoddisfazione tra chi è arrivato dall’estero a causa di basse retribuzioni, precarietà e assenza di un sindacato che li rappresenti.
VIDEO, "Torre di Babele"
VIDEO, "Stop Razzismo"
I lavoratori stranieri in Italia sono 1,75 milioni per l’Istat e quasi 2,2 milioni per l’Inps. Il campione di questa ricerca è composto di 1.105 “regolari”, provenienti da 71 paesi, l’83 per cento dei quali risulta avere un lavoro in regola. Tra gli interpellati, si legge nello studio, oltre due su tre ritengono utile uno sciopero a sostegno delle proprie rivendicazioni, e una quota ancora superiore (il 78 per cento che arriva all’81 tra i subordinati) dichiara che aderirebbe a un eventuale sciopero dei lavoratori immigrati in Italia finalizzato a un maggiore riconoscimento dei loro diritti.
La propensione a "incrociare le braccia" risulta più elevata tra i lavoratori dell’Europa dell’Est (80 per cento di “sì”), seguiti da quelli d’origine africana (78 per cento). E cresce tra quanti risiedono in Italia da oltre dieci anni anni, raccogliendo l’80 per cento delle adesioni (a fronte del 76 tra coloro che sono presenti da meno di cinque anni). Si conferma poi il desiderio di riscatto sociale della componente femminile (pronta a scioperare nell’81 per cento dei casi contro il 75 degli uomini). Stessa tendenza tra i migranti in possesso di una laurea: 81 per cento di eventuali adesioni contro il 73 tra chi ha una licenza media.
Le relazioni sul posto di lavoro risultano buone: quasi nove intervistati su dieci sono soddisfatti del rapporto con i colleghi, il 75 per cento ha una buona relazione con il datore di lavoro e il 76 esprime un giudizio positivo sull’ambiente di lavoro nel suo complesso. Quanto ai salari, sono insoddisfacenti per il 51 per cento del campione. E restano i problemi anche su altri fronti: solo il 23 per cento dichiara infatti di non avere mai subito vessazioni e di non avere mai lavorato “in nero”. Per superare queste difficoltà, oltre otto immigrati su dieci ritengono utile la nascita di un sindacato dei lavoratori stranieri. Legalità e regolarità dei contratti, sicurezza sul lavoro, tutele sociali e salvaguardia dei salari, queste le richieste chi li difende dovrebbe tenere presente.
Se tutti i lavoratori stranieri incrociassero le braccia, concludono gli estensori della ricerca, al di là degli effetti fortemente negativi sul pil si avrebbe una paralisi di alcuni settori. Anzitutto nei servizi alle famiglie (dove la componente straniera raggiunge il 67 per cento), ma anche nell’agricoltura (21 per cento di occupati stranieri), nelle costruzioni (20) e nel turismo (21). Fortemente indeboliti risulterebbero anche il tessile (15 per cento di occupati stranieri), l’industria conciaria (16), quella metallifera (15) e più in generale, l’industria nel suo complesso (13 per cento).