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I numeri parlano chiaro, minacciano. Li ha messi insieme la Fiom torinese, la voce e il cuore sindacale di una città che dopo aver dominato per oltre un secolo l’industria metalmeccanica del Paese, ormai da più di un decennio conta solo i danni e le macerie di un terremoto che continua a scuotere il territorio e ad abbattere stabilimenti. Dal 2008 al 2020 sono andati in fumo oltre 32 mila posti di lavoro nel comparto industriale. Parliamo del 27 per cento degli occupati. La produzione di auto, simbolo della Torino che fu, da prima della crisi del 2008 a oggi è scesa dell'83 per cento. Sono questi i numeri più drammatici della ricerca Fiom, che ha seguito l'andamento produttivo e occupazionale negli ultimi 12 anni di quasi un migliaio di imprese metalmeccaniche del territorio, tra cui 28 unità ex Fiat, suddivise in 13 macrosettori e 274 tipologie, con una ricaduta occupazionale di circa 120mila addetti e con un focus specifico sulle aziende dell'indotto automotive. Di fatto, nella provincia si passa da 119mila addetti a 86mila e il settore principe domina incontrastato con un calo di 18.454 posti in 12 anni, meno 29,6 per cento.
"Attraverso i dati riportiamo la fotografia di una Torino devastata – è il commento del segretario provinciale, Edi Lazzi -. Vogliamo provare a fermare questo declino. Solo il comparto della logistica è in positivo, ma ha un peso irrilevante nella nostra città. A Torino deve scattare quella scintilla, una presa di coscienza collettiva in cui ognuno, lavoratori, istituzioni e imprese, facciano la loro parte. Si reagisca. Anche perché sull'automotive siamo bravi. Quest'idea che Torino è ormai da buttare via fa arrabbiare. Non siamo zombie che camminano".
I dati non si fermano qui. Questa è solo la punta dell’iceberg. Scioccante il numero delle aziende che hanno chiuso: si passa da 949 a 579. Saracinesche abbassate per 370 attività, con un segno meno del 39 per cento. Impietoso il bilancio della produzione delle auto. "Prima della crisi economica del 2008, a Torino sono state prodotte 209mila auto, ridotte poi a 146mila l'anno successivo - spiega Edi Lazzi -. Nel 2020 siamo arrivati a 36mila, meno 83 per cento. In altre parole, l'auto lascia il Piemonte. Ora la paura è per lo sblocco dei licenziamenti. Siamo in una bolla. Mi aspetto un'ondata. Non sappiamo di quali proporzioni. Il piano industriale dell'auto è ancora quello di Marchionne. I lavoratori ci sono, sono pronti, nonostante i sacrifici fatti fin qui - spiega il segretario Fiom -. Sono anche pronti a nuova formazione. Il governo deve confrontarsi con Carlos Tavares, l’ad di Stellantis, per capire cosa possa servire per il futuro del gruppo in Italia. E poi servono infrastrutture per l'elettrico e l'idrogeno. Ma di fronte a queste cifre possiamo dire che Torino è diventata la nuova Cenerentola dei distretti automotive italiani”.
Lo testimonia l’analisi. Nel capoluogo ogni 100 posti persi 57 sono proprio nell'automotive e, se si scompone questo dato, ogni 100 posti persi nell'automotive 83 sono nell'indotto e 17 sono in Fca. “Se continuiamo così – commenta Edi Lazzi amaro – ci rimarranno solo gli avanzi". Secondo il report dedicato alla produzione auto dall'Anfia, l’associazione nazionale della filiera del settore, c'è una diminuzione dei posti di lavoro molto peggiore in Piemonte che nel resto d'Italia. L'indotto si sposta dove ci sono i volumi produttivi, ovvero a Cassino, Pomigliano e nel distretto di Modena e Bologna. Di qui la conclusione che Torino non deve archiviare l'auto come un oggetto del passato. "È inutile continuare a ripetere - ha sottolineato il leader della Fiom - che Torino si deve emancipare dall'auto, come se fosse un orpello del Novecento. Se c'è un'alternativa, sono d'accordo. Ma c'è? L'industria dell'auto in tanti paesi, come in Francia e Germania, è centrale. Lì i governi sanno che il settore ha un effetto trascinamento sulla ricchezza. Un settore che non è maturo, è in trasformazione. Le auto verranno prodotte per i prossimi 400 anni, magari voleranno, ma il mezzo di trasporto non scomparirà".
Per il sindacalista sarebbe uno spreco non valorizzare la professionalità e le conoscenze acquisite in oltre un secolo. "La politica locale e il governo - secondo Lazzi - devono poter dire che il Recovery plan verrà usato in parte a Torino. Devono far capire che siamo una città industriale e manifatturiera, che crede nell'innovazione, nella guida autonoma o nell'intelligenza artificiale. All'interno di questi progetti occorre chiedere dei finanziamenti e attrarre imprese e investitori. Altrimenti entro cinque anni saremo ancora più poveri e arriveremo a un punto di non ritorno. Solo la politica può fare questo. Il sindacato può indicare una strada e ricordare che i lavoratori hanno già fatto 14 anni di cassa integrazione e che se c'è una prospettiva hanno voglia di tornare al lavoro: non sono per l'assistenzialismo". L’allarme, l’ennesimo, è suonato. Sta alle istituzioni e al (nuovo?) governo raccoglierlo e trasformarlo in una nuova prospettiva. Prima che la città dell’auto vada a sbattere definitivamente.