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A Roma, come ogni anno, è stato presentato il rapporto annuale dell’Istituto di previdenza, tanti i numeri che fotografano il mercato del lavoro italiano e l’universo di pensionati e pensionate. Sele cifre sono neutre e raccontano la realtà, come le si “conta e analizza” può indirizzare la ricerca, non sempre restituendo un’analisi corretta. Un esempio? Il lavoro povero: se invece di osservare ciò che accade lungo tutto l’arco dell’anno, si prende come base il solo mese di ottobre, il quadro che ne deriva rischia di essere distorto, tanto da affermare che i lavoratori poveri sarebbero solo qualche migliaia e non oltre tre milioni.
Il mercato del lavoro raccontato da Inps
Il rimbalzo dell’economia seguita al Covid ha fatto diminuire il tasso di disoccupazione e aumentare quello di occupazione. Ciò di cui, però, non si tiene conto è la questione demografica. Le percentuali, infatti, non raccontano fino in fondo il restringimento della platea degli occupabili, mentre le persistenti difficoltà sono evidenti se si osserva ciò che accade a giovani e donne, troppo pochi e poche al lavoro. Non solo: quel che rimane forte è la differenza tra l’Italia e gli altri Paesi dell’Unione. Da noi il tasso di occupazione si ferma al 61%, la media europea si attesta al 69,8%, in Germania è al 77%, il Francia al 68% e anche la Spagna fa meglio di noi raggiungendo il 64%.
Male Sud, giovani e donne
Lo sappiamo, all’Italia sono stati concessi quasi 200 miliardi di fondi di Next Generation Eu. Molti rispetto ad altri paesi, perché da noi i divari di genere, generazione e territori sono assai più elevati che altrove. Anche i numeri forniti dall’Inps confermano che l’Italia è il Paese delle diseguaglianze. Qualche esempio? Tra la Lombardia e Sicilia il tasso di occupazione è divaricato di quasi 25 punti. I numeri, poi, accertano un'accentuata e costante penalizzazione dei giovani, la cui occupazione si stabilizza solo verso i trent’anni, raggiungendo i picchi poco prima dei 50. E, se possibile, va peggio alle donne che provano a rientrare nel mercato del lavoro solo dopo i 35 anni, condizione di svantaggio rispetto agli uomini legata ancora alla difficoltà di un equilibrio tra carichi di famiglia e di lavoro.
Precarietà e lavoro povero
Lo dice l’Inps: gli occupati con contratti a tempo determinato sono oltre tre milioni, e la quota di lavoratori e lavoratrici che entrano nel mercato del lavoro con un contratto temporaneo è in crescita costante, dal 35% nel 2009 al 55% del 2019. E non finisce qui: la quota di part-time è in linea con quella europea, il 18%, ma solo l’8% di uomini è assunto a metà tempo contro il 30% delle donne. Il lavoro a tempo parziale, infine, si attesta al 45% tra i dipendenti a tempo determinato contro il 26% dei dipendenti a tempo indeterminato.
Il fenomeno degli abbandoni
Ormai anche da noi si è diffuso il fenomeno dei licenziamenti volontari. Secondo la Cgil il grande aumento delle dimissioni volontarie rappresenta non un ritiro dal mercato del lavoro bensì un’aumentata mobilità, alla ricerca di migliori condizioni. Probabilmente tra i portati del Covid e, in parte, del reddito di cittadinanza, c’è anche la ricerca di condizioni di lavoro e di vita dignitosi. Un fenomeno in crescita che per il sindacato evidenzia le differenze tra settori produttivi e la necessità soprattutto d'investire sulla qualità del lavoro che si traduce in migliori condizioni salariali, ma anche in tempo di lavoro, orari, conciliazione, opportunità.
La riflessione della Cgil
Dinanzi a un quadro del mercato del lavoro che "conferma seri problemi strutturali - afferma Maria Grazia Gabrielli, segretaria confederale con delega al mercato del lavoro - il governo, con il decreto lavoro, non fa altro che aumentare la povertà e la precarietà. Per un lavoro stabile e di qualità saremo in piazza il 7 ottobre con oltre 100 associazioni”.
Il reddito di lavoratori e pensionati
Ormai è cosa nota: mentre in Francia, Germania e Spagna negli ultimi 20 anni i salari sono cresciuti (e non di poco), in Italia invece no. Nell’ultimo anno, tra inflazione e aumento del carrello della spesa, la perdita di reddito è stata più che doppia rispetto all’incremento salariale medio, che si attesta nel 2022 al 4,5%. Ovviamente, c’è chi l’aumento l’ha avuto e chi no. Ai pensionati e alle pensionate è andata peggio: l’Inps certifica che nelle famiglie con pensionati il reddito nominale del primo quinto (famiglie più povere) è salito del 6,3% tra 2018 e 2022, ma ha perso il 10,6% del reddito reale (il quinto più ricco ha perso meno: 7,5%).
Per la Confederazione di corso d'Italia “questi dati dovrebbero far capire all’esecutivo che è sbagliato e grave intervenire nuovamente con un taglio sulla rivalutazione delle pensioni. Come abbiamo ribadito ai tavoli di confronto, serve la piena rivalutazione delle pensioni, e per i redditi più bassi un allargamento e rafforzamento della quattordicesima”.
Pensionati di oggi e di domani
Lo dicevamo, siamo il Paese delle diseguaglianze. Il Rapporto attesta che tra un dirigente e un operaio esiste una differenza di aspettativa di vita di ben cinque anni a sfavore del secondo. E l’aspettativa di vita è diversa anche tra le regioni, al Sud si arriva a ben quattro anni in meno. Ovviamente queste differenze hanno ricadute sul sistema previdenziale, eccome.
Così come diverso è, rispetto alle pensioni, se si è uomini o donne. Le disuguaglianze di genere presenti nel mercato del lavoro, quindi, si ripercuotono anche sul sistema previdenziale. Le donne infatti, pur rappresentando la quota maggioritaria sul totale dei pensionati (il 52%), percepiscono solo il 44% dei redditi pensionistici. L'importo medio mensile dell’assegno degli uomini è superiore a quello delle donne di circa il 36%.
Un ultimo commento della Cgil
"I dati sulla previdenza presenti nel rapporto - dichiara Lara Ghiglione, segretaria confederale Cgil con delega alla previdenza - confermano e rafforzano le nostre proposte sindacali, a partire dalla necessità di introdurre nel sistema maggiore equità e solidarietà, soprattutto all’interno dell’attuale impianto contributivo”. La previdenza, conclude l'esponente sindacale, rimane "un punto centrale che chiediamo di affrontare a questo governo e sarà una delle tante ragioni della mobilitazione del prossimo 7 ottobre”.