Porto Marghera deve mantenere la propria vocazione industriale. Sappiamo bene di essere a un passo dalla laguna di Venezia e non ci sono dubbi sul fatto che la riconversione di questo luogo vada conseguita attraverso progetti rivolti sia al futuro delle produzioni che alla sostenibilità ambientale. Non credo però che il progetto di Eni Versalis di chiudere l’impianto di cracking di Marghera sia dettato esclusivamente dalla necessità di produrre con modalità più sostenibili. Se così fosse il problema andrebbe affrontato attraverso nuovi investimenti che dotino gli impianti delle tecnologie più moderne e pulite. Temo piuttosto che si tratti, più semplicemente, di un problema di sostenibilità economica.

Alcune aziende sostengono che sia più conveniente – andare ad acquistare queste commodities (etilene, propilene, benzene e altri derivati, ndr) direttamente dove si producono, lì dove si estrae il petrolio. Di certo Eni è diventata una società molto diversa rispetto al passato. Oggi si occupa di produzione globale di energia, quindi i suoi piani industriali sono rivolti alla decarbonizzazione e al raggiungimento degli obiettivi dell’Unione Europea di abbattimento delle emissioni climalteranti. Un piano che conosciamo e condividiamo ma che non può impattare in maniera così drammatica su Porto Marghera. 

La transizione deve essere giusta. Attenta agli aspetti di carattere industriale e alle conseguenze sul piano sociale. Se non si tengono insieme questi due aspetti ovviamente si rischia di creare un disastro. Siamo nella condizione di non poter andare troppo lentamente perché altrimenti a pagare sarà il pianeta. Ma non possiamo nemmeno andare troppo velocemente, altrimenti distruggiamo il tessuto industriale del Paese con enormi conseguenze sul piano sociale.

Per questo continuiamo a chiedere un tavolo con il governo per confrontarci sui temi della transizione energetica, delle politiche industriali e delle politiche energetiche. Questi tre argomenti vanno tenuti insieme: discuterne significa avere una visione del futura ed è questa mancanza che il sindacato continua a sottolineare.

Anche nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza si scatta una fotografia della situazione attuale, si guarda a quello che dovrebbe accadere nel futuro ma non c'è traccia di cosa si debba fare per gestire la fase di transizione dal punto di vista delle iniziative industriali e delle filiere da installare per produrre la tecnologia necessaria alla transizione. Gli ammortizzatori sociali di certo serviranno ma nessuno può pensare che il problema si risolva solo con la cassa integrazione.

* Marco Falcinelli, segretario generale della Filctem Cgil

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