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Anche un posto di lavoro in più va festeggiato, ma quando si analizzano i risultati delle politiche che si mettono in campo occorre essere onesti. Istat e Eurostat continuano a raccontare di un’Italia come fanalino di coda dell’Europa per occupazione femminile e per numero di quanti, uomini e donne, non lavorano e sono talmente scoraggiati che un’occupazione nemmeno la cercano.
Ma pare che sulla scrivania della presidente del Consiglio i report degli istituti di ricerca non arrivino, visto che continua a celebrare – lo ha fatto da ultimo nel video messaggio social del Primo Maggio – i magnifici risultati del suo governo sull’occupazione, soprattutto quella femminile.
I conti non tornano
Ci ha pensato però la Svimez a richiamare tutti alla realtà. Proprio in occasione della festa dei lavoratori e delle lavoratrici, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno ha reso noto uno studio sul mercato del lavoro che racconta altro rispetto alla propaganda governativa. O meglio, mettendo insieme tutte le tessere del mosaico, restituisce un quadro completo rispetto a quello parziale raccontato. A cominciare dal fatto che il tasso di disoccupazione, allora, è un dato parziale: “La disoccupazione – ci dice la Svimez – coglie solo una parte del reale divario tra persone occupate e persone che vorrebbero lavorare”.
Il non lavoro in Italia
Nel nostro Paese, infatti, sono ben 5,3 milioni le persone che potrebbero e vorrebbero lavorare ma sono disoccupate, scoraggiate o sottoccupate, pari a ben il 19,3% della platea. Di cosa parliamo? Di un indicatore definito da Eurostat, (l’indicatore “U–6” dell’US Bureau of Labor Statistics, o l’indicatore di Labour Slack) e che serve a misurare con maggiore precisione l’area del non lavoro, soprattutto il divario tra offerta e domanda, contando anche i sottooccupati e gli scoraggiati oltre che i disoccupati. Ed è, ovviamente, molto più realistico di quello usato per definire il tasso di disoccupazione che registra chi tra i 15 e i 74 anni compie almeno un’azione di ricerca di lavoro e che si attesta all’7,2%. Per capire quanto sia poco adeguato a comprendere il reale andamento del mercato del lavoro basta verificare il tasso di occupazione che in Italia tra gli uomini e le donne tra i 15 e i 62 anni è pari al 62,1%. Davvero lontanissimo dalla piena occupazione.
Occupati prevalentemente al Nord
Il tasso di Labour Slack del Sud è più che doppio rispetto al Nord e al Centro del Paese: poco sopra l’11% nell’Italia settentrionale poco sopra il 16 nelle regioni centrali. Stiamo parlando di numeri importanti, ad essere disoccupati nel Meridione sono infatti 2,9 milioni di persone, a cui vanno aggiunti circa 1,5 milioni di uomini e donne che potrebbero lavorare ma non cercano un’occupazione e altri 400 mila che un lavoro ce l’hanno ma a tempo parziale e vorrebbero lavorare di più. Le regioni con il maggior potenziale di occupazione sono Sicilia, Calabria, Campania.
Il lavoro non è donna
Meloni il Primo Maggio ha affermato che l’occupazione femminile è aumentata parecchio, peccato però che i numeri affermino che 1 donna su 4 non lavora e ben 1 su due nelle regioni meridionali è fuori dal mercato del lavoro perché disoccupata scoraggiata o sottoccupata. E il confronto con gli altri paesi europei è davvero impietoso. In Germania – ad esempio - il tasso di Labour Slack è pari al 6,5% (lo ricordiamo: da noi siamo a oltre il 19), ma quel che più colpisce è che la differenza tra uomini e donne è di solo mezzo punto percentuale.
Come si traduce il non lavoro femminile?
Nelle regioni del Sud sono pochissime le donne che lavorano, e nelle stesse regioni sono assai più scarsi che al Nord i servizi alla persone, quelli che da un lato sono a predominanza manodopera femminile e dall’altra consentirebbero alle donne di liberare tempo occupato dal lavoro di cura gratuito potendo così affacciarsi nel mercato del lavoro. E non sarà un caso che proprio le stesse regioni – fino a pochissimi anni fa quelle con il tasso di natalità più alto del Paese – da qualche tempo sono quelle con la curva della natalità più negativa.
E il governo?
Oltre alle dichiarazioni propagandistiche il nulla. O meglio alcuni provvedimenti sono stati presi ma, se non vuoti, negativi. Un esempio? L’ultimo decreto, quello varato in occasione della Festa dei lavoratori, non fa altro che confermare ciò che da tempo si vede bene: il ruolo che si vuole riservare alle donne è quello di madre. Certo non di lavoratrici, viste che concederà a gennaio un bonus una tantum a quei lavoratori che abbiano un reddito sotto i 28 mila euro annui. Solo che per averne diritto occorre che quel lavoratore abbia un coniuge a carico che non lavora e un figlio. Tradotto vuol dire che se una coppia che ha un figlio raggiunge a stento 28 mila euro di reddito ma a comporre quella cifra è la somma del salario povero di entrambi i coniugi, loro i 100 euro lordi promessi da Meloni non li avranno. Così come non li avranno quei coniugi con pari reddito frutto del lavoro di uno solo ma senza figli. E chi è che nella coppia lavora? Quasi sempre l’uomo.
Conclusioni amare
Insomma: siamo il paese in cui tutti i numeri che riguardano l’occupazione femminile sono i più bassi d’Europa, e invece di individuare politiche e strumenti per far in modo che sempre più donne lavorino, il governo guidato da una donna vara misure che favoriscono la disoccupazione femminile o il loro lavoro nero. Davvero un bel passo avanti verso il Medioevo. O forse verso quell’epoca nella quale si premiavano le fattrici per la patria e si varava la tassa sul nubilato.