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“La gestione dello stabilimento, fatta a colpi di efficientamenti e riorganizzazioni, sta peggiorando le condizioni di vita e di lavoro. Da un lato registriamo l’aumento delle saturazioni dei tempi, dall’altro il taglio dei servizi generali come pulizie e mensa. La criticità, insomma, è davvero elevata”. A dirlo è il coordinatore automotive della Fiom Cgil nazionale Simone Marinelli, parlando dell’impianto Stellantis di Melfi (Potenza), che dal 2024 inizierà a produrre quattro nuovi modelli elettrici (in base all’accordo firmato il 25 giugno 2021).
A Melfi, dunque, l’appuntamento per la transizione ecologica è tra due anni. Come ci stiamo arrivando?
Non bene, sicuramente. La crisi di forniture, logistica e mercato sta mettendo sotto pressione i lavoratori, con un ampio utilizzo degli ammortizzatori sociali. A questo si aggiunge l’impennata dell’inflazione, che pesa sempre più sui bilanci familiari. Abbiamo la necessità di aprire un confronto con i ministeri competenti (Lavoro, Sviluppo economico, Transizione tecnologica) per definire gli strumenti con cui accompagnare i processi di riorganizzazione dello stabilimento. Ma c’è un problema: si sta esaurendo la capienza degli ammortizzatori sociali, è dunque necessario un intervento incisivo e di carattere generale.
Qual è il vostro giudizio sul piano Stellantis per Melfi?
Lo stabilimento lucano è uno dei pochi ad avere una missione produttiva, per di più nell’elettrico, quindi il giudizio è positivo. Per il resto degli impianti ex Fiat, invece, le prospettive sono nebulose: a Pomigliano d’Arco è appena partita la produzione del modello Tonale, a Cassino abbiamo quella del Grecale, a Mirafiori la 500 elettrica e le Maserati, ma sono tutti impegni che derivano dal vecchio piano industriale. Di nuovo, insomma, poco o nulla. Per Termoli, poi, c’è la necessità di un confronto sulla fabbrica delle batterie, per capire cosa comporta in termini di occupazione e prospettive per il territorio.
È ormai noto che la transizione ecologica porterà via posti di lavoro. Come affrontare quest’emorragia?
Stime europee dicono che in Italia questo salto tecnologico comporterà complessivamente la perdita di 70 mila posti di lavoro. C’è quindi un problema di ‘svuotamento’ degli stabilimenti. La Fiom ha deciso di non sottoscrivere più accordi sulle fuoriuscite, che in sostanza mettono fuori i più giovani senza prevedere ricambi generazionali, accordi che invece a Melfi, Termoli e Mirafiori sono stati sottoscritti dalle altre organizzazioni. La nostra proposta è il ‘contratto di espansione’, come già siglato per gli enti centrali, che permette di accompagnare i lavoratori maturi alla pensione e assumere forze giovani.
In questa situazione di profonda trasformazione dell’automotive, il governo sembra brillare per assenza.
Francia e Germania, per fare esempi a noi vicini, hanno avviato piani di politica industriale centrati sul rientro di produzioni, soprattutto quelle ad alto valore aggiunto, che erano state delocalizzate. In Italia il governo interviene solo con la ‘politica degli incentivi’, quindi sostenendo la domanda: un provvedimento che potrà servire a rilanciare il mercato, ma che, se contemporaneamente non rilanci anche l’offerta, rischia di favorire produzioni non realizzate in Italia e di non essere risolutivo alla ripartenza del settore e alla sua trasformazione tecnologica.
Tornando a Stellantis, va segnalato un paradosso: i lavoratori sono ovunque in cassa integrazione, eppure l’azienda va molto bene.
Il gruppo macina risultati positivi a livello finanziario: il primo trimestre 2022 si è chiuso con un aumento dei ricavi del 12 per cento rispetto al medesimo periodo dell’anno scorso. Guadagna in Borsa, distribuisce dividendi agli azionisti. Il paradosso è che lo fa con una bassa produzione in Italia, con un calo delle immatricolazioni e con, appunto, migliaia di lavoratori che vedono messa in pericolo la tenuta del proprio bilancio familiare.
Come invertire, allora, questa tendenza?
Serve una decisa politica di redistribuzione per sostenere il reddito dei lavoratori: i bonus governativi sono di aiuto ma non sono la soluzione, questo vale per tutti i lavoratori del nostro Paese. Più in generale, è necessario definire le attività di ricerca e sviluppo degli enti centrali e le missioni produttive di tutti gli stabilimenti italiani. A partire dal caso più urgente, quello dell’impianto VM di Cento (Ferrara): lì si realizza un motore diesel per il mercato americano, ma tutto finirà nel 2023 e a oggi non c’è un prodotto che lo sostituisca.