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Nei giorni scorsi alle Ogr di Torino è stata inaugurata una mostra dal titolo molto suggestivo: “Macchine del Tempo”. La mostra è stata organizzata dall’Inaf (l’Istituto nazionale di astrofisica) che ha voluto celebrare - ancora una volta - la sua eccellenza scientifica e il suo ruolo di primo piano nella ricerca astrofisica internazionale. Un successo che non sarebbe possibile senza il prezioso contributo di centinaia di ricercatori, tecnologi, tecnici e amministrativi precari, il cui lavoro rappresenta l’ossatura fondamentale di molti progetti chiave dell’Istituto.
E tuttavia c’è un particolare di non poco rilievo: la metà circa del personale Inaf coinvolto nella realizzazione di questo evento è precario. In tutto l'Istituto, i precari sono 661, di cui circa 280 già immediatamente stabilizzabili secondo legge Madia come risulta dalla ricognizione ufficiale.
Molti di questi ricercatori e tecnologi hanno dedicato anni – in molti casi oltre un decennio – alla crescita della ricerca italiana, ma continuano a vivere in una condizione di incertezza lavorativa, con l’impossibilità di pianificare il proprio futuro e il rischio concreto di disperdere competenze fondamentali per il sistema della ricerca nazionale. Si invoca sempre il tema delle risorse, ma nel caso dell’Inaf per iniziare il percorso di stabilizzazione per i circa 150 precari “comma 1” (cioè precari stabilizzabili immediatamente, senza concorso) servirebbero appena 9 milioni di euro annui mentre, per i circa 130 precari “comma 2” (precari stabilizzabili tramite concorso riservato), la cifra sarebbe ancora inferiore. Si tratta di risorse molto modeste nel bilancio statale, ma fondamentali per garantire il futuro della ricerca italiana.
Abbiamo chiesto a tre di queste persone di raccontare in prima persona la propria storia. Ecco quello che ci hanno risposto.
Federica Frassati: la vita come un pendolo
Mi chiamo Federica Frassati e sono una ricercatrice all’Istituto nazionale di astrofisica. Sono una precaria. Ho conseguito il mio titolo di dottorato nel 2019 e vinto assegno di ricerca di un anno prorogabile. Tale assegno è stato rinnovato per 5 anni e a finire del 2024 ho vinto il concorso per un posto a tempo determinato di un anno che scadrà a fine settembre 2025. Dal mio dottorato ad ora sono sempre stata in servizio presso Inaf, per un totale di quasi 10 anni. In questi anni non mi sono mai risparmiata: pubblico articoli su riviste referate ad alto impact factor, vinco bandi di finanziamento per la ricerca, partecipo a progetti nazionali e internazionali ricoprendo posizioni di rilievo, dedico parte del mio tempo libero alla divulgazione, seguo dottorandi, laureandi, borsisti. Nonostante il mio impegno mi ritrovo, a quasi 40 anni, a non avere certezza del mio futuro lavorativo e quindi personale.
La mia vita ormai assomiglia a un pendolo che oscilla tra ore di lavoro e l’ansia costante della scadenza contrattuale, senza alcuna certezza di poter continuare a fare ciò che amo. Ogni tanto guardo all’estero e vedo colleghi che, con le stesse competenze, conducono una vita dignitosa. Qui, invece, noi precari sembriamo condannati alla perenne incertezza.
Il problema del precariato non è solo una questione economica, è una questione di dignità. Vorrei poter costruire un futuro senza dover scegliere tra la mia passione e la mia serenità. Vorrei andare in banca e non vedermi rifiutare un finanziamento di dieci mila euro per cambiare l’auto e quindi dover chiedere aiuto, ancora una volta, ai miei genitori.
Vorrei che la ricerca fosse considerata una risorsa strategica per il Paese e non una vocazione personale da coltivare nei ritagli di tempo. Perché senza ricerca non c’è innovazione, non c’è progresso, non c’è futuro, non c’è speranza. La precarietà logora, spegne entusiasmi, semina frustrazione. Io voglio solo fare il mio lavoro, che amo, con la dignità eil riconoscimento che so di meritare. Non chiedo privilegi, chiedo possibilità. Perché senza ricerca, questo Paese resterà fermo. E noi con lui.
Gabriele Bruni: per il futuro nessuna certezza
Sono ricercatore Inaf dal 2017, e prima ancora ho lavorato presso istituti esteri. Mi occupo dei fenomeni energetici legati agli oggetti compatti come buchi neri e stelle di neutroni. Radioastronomo di formazione, combino dati raccolti agli estremi opposti dello spettro elettromagnetico, cioè Radio e X/Gamma, per comprendere la formazione di getti e venti relativistici nei nuclei galattici attivi, e lampi radio e gamma nelle ultime fasi di vita delle stelle.
Il mio viaggio nella ricerca inizia con il dottorato nel 2009, senza borsa, solo parzialmente coperto da assegno di ricerca. Con la crisi economica di fine anni 2000 le prospettive non erano rosee, quindi subito dopo aver conseguito il titolo nel 2012 mi sono spostato all'estero, prima in Spagna e poi in Germania, per allargare la rete di collaborazioni e rinforzare la mia professionalità.
Cinque anni dopo, nel 2017, c'è stata l'opportunità di rientrare in Italia quando un gruppo di ricerca Inaf ha avuto necessità di un radioastronomo con le mia esperienza per contribuire a diversi progetti. Il rientro non è stato sicuramente conveniente dal punto di vista economico, e neanche da quello della tipologia contrattuale, visto che i due precedenti istituti di ricerca esteri dove avevo lavorato avevano stipulato un contratto a tempo determinato con mensilità maggiori e scatti di anzianità. Tuttavia, come spesso succede, le circostanze e le esigenze personali non permettono sempre di svolgere un'intera carriera all'estero.
Dopo sei anni di assegno post-doc, senza scatti di anzianità, e con costante rischio che venisse interrotto per mancanza di fondi, ho raggiunto il limite di durata stabilito dalla legge per gli assegni di ricerca. Ho quindi avuto un primo anno di contratto a tempo determinato, che ho poi contribuito a finanziare tramite fondi dell'Agenzia spaziale europea (Esa) che ero riuscito nel frattempo ad aggiudicarmi. Sono ora al terzo anno di Td (contratto a tempo determinato, ndr), all'alba del 14° anno di post-doc, e i fondi scarseggiano di nuovo. Riuscire a non perdere di vista l'orizzonte e i propri obiettivi professionali è veramente difficile quando mancano pianificazione e prospettive.
Ho partecipato e contribuito a progetti di rilevanza internazionale, e sviluppato competenze non facilmente reperibili nel campo. Diverse le pubblicazioni rilevanti in questi anni di lavoro, culminate nell'articolo pubblicato la scorsa estate su Nature come primo autore. In aggiunta a ciò, ho contribuito alla didattica universitaria sia tramite lezioni che con la supervisione di studenti di dottorato e laurea. Mi sono ormai convinto che, per quanto spesso invocata, l'eccellenza non sia la chiave per avere un futuro nell'ambito della ricerca in Italia.
Il mio contratto scadrà a inizio 2026, tra meno di un anno, e non vi sono certezze per il futuro. L'idea di tornare all'estero a 43 anni, con una famiglia, non è percorribile. Poche sono le opportunità per ricercatori con una carriera già avviata come la mia, che all'estero hanno già conquistato da tempo la propria stabilità e il proprio ruolo all'interno del mondo accademico.
Roberto Ricci: rientrato in Italia. Ma per cosa?
Mi sono laureato all'Università di Bologna in astronomia nel 2000 e dottorato in astrofisica in Sissa (la Scuola internazionale superiore di studi avanzati) a Trieste nel 2004. Ho fatto il mio primo post-doc in Australia a Sydney presso Csiro/Atnf, già inquadrato come staff anche se a tempo determinato, eil secondo post-doc all'Università di Calgary (Canada) nel dipartimento di Fisica e Astronomia come associato di ricerca.
Tornato in Italia nel 2009 ho lavorato presso l'Istituto di radioastronomia di Bologna fino al 2019 con contratti atipici (borse di studio post-dottorato e assegni di ricerca). In seguito ho avuto due assegni di ricerca pagati dall'Inrim di Torino con sede di lavoro Ira Bologna. Dal 2024 ho un assegno di ricerca presso l'Università di Roma Tor Vergata.
Durante tutta la mia carriera scientifica mi sono occupato sempre di radioastronomia nei suoi vari aspetti sia tecnologici (uso di tecniche radio ad altissima risoluzione angolare per confronto di orologi atomici oppure commissioning del radiotelescopio sardo Srt) e scientifici (survey radio a tutto cielo oppure ricerca di transienti). Da quindici anni svolgo anche regolare attività di divulgazione scientifica con scuole e pubblico.
Non ho mai avuto un contratto a tempo determinato in Italia. Sono quindi stabilizzando Inaf come legge Madia comma 2 per i contratti avuti per gli assegni di ricerca. Ho anche partecipato dal 2009 ai concorsi banditi da Inaf per ricercatore a tempo indeterminato, risultando in alcuni di essi idoneo, l'ultima volta nel 2022.
All'estero ho seguito studenti di laurea e di dottorato. In Italia non ho avuto questa opportunità se non ultimamente qui a Tor Vergata. Credo che la possibilità di lavorare con studenti formi molto ed apra la mente, oltre ad arricchire il proprio curriculum e penso sia stata un’occasione persa vista la mia capacità di interagire agilmente anche in inglese con studenti stranieri in virtù del periodo trascorso all'estero.
Gli anni di precarietà hanno iniziato a farsi davvero sentire dal 2017 in poi, avendo io mancato la scorsa stabilizzazione. L'impossibilità di accendere un mutuo per una casa, il non riuscire a mettere radici in un luogo e la consapevolezza doversi prendere cura di genitori ormai anziani si fa sempre più sentire. Il mio contratto scadrà a maggio 2026. A parte la stabilizzazione in Inaf posso cercare di seguire la strada dell'abilitazione scientifica nazionale per diventare professore a contratto presso università italiane.