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"Per questo motivo (il Tribunale del Lavoro di Padova) accoglie il ricorso ed accerta il diritto del ricorrente alla Naspi (…) e condanna l'Inps a rifondergli le spese di giudizio (…)”. È con queste parole che si conclude la Sentenza n 603/2021 con la quale il giudice Roberto Beghini del Tribunale del Lavoro di Padova, circa una decina di giorni fa, ha dato pienamente ragione ad un detenuto di origine tunisine che dopo aver svolto per diversi mesi, nel corso del 2019, un’attività lavorativa in favore dell'amministrazione penitenziaria, una volta cessata, aveva presentato domanda all'Inps al fine dell'ottenimento dell'indennità di disoccupazione (Naspi) vedendosela respingere, motivo per cui, con il sostegno di Inca Cgil e Cgil Padova, aveva deciso di ricorrere al tribunale contro ciò che riteneva un abuso. E il giudice gli ha dato ragione.
“All’origine di tutto – dice Antonella Franceschin, direttrice dell’Inca Cgil Padova – c'è il messaggio Inps n 909 del 2019 con il quale l’Istituto informava che i detenuti dipendenti dell’Amministrazione penitenziaria non hanno diritto alla Naspi. Una situazione in cui si trovava il ricorrente che aveva lavorato come addetto alla distribuzione dei pasti. Si badi bene, che se invece di lavorare direttamente per il carcere, avesse lavorato per conto di una delle cooperative che operano all'interno del Due Palazzi, la Naspi gli sarebbe stata riconosciuta. Secondo l'Inps, la sua posizione era del tutto simile a quella di qualsiasi dipendente del Ministero di Grazia e Giustizia che in quanto tale non ha diritto alla Naspi. A noi sembrava una evidente forzatura per cui, di comune accordo con la segreteria confederale della Cgil, abbiamo deciso di “accompagnare” alcuni detenuti, per la precisione 4, nei loro ricorsi. Questa è la prima sentenza che ci arriva e ci conforta, considerato che le altre tre situazioni sono praticamente uguali. Ma al Due Palazzi saranno almeno una cinquantina i detenuti a cui è stata negata la Naspi dopo aver lavorato per l'amministrazione penitenziaria”.
“Siamo ottimisti – conclude la direttrice dell’Inca Cgil di Padova – sull'esito finale, anche perché ci sono state altre sentenze simili in Lombardia, contro cui l'Inps ha deciso di ricorrere in Cassazione. Per capire se e quando procederanno con i pagamenti toccherà attendere l'esito di questi ricorsi. Intanto però voglio pubblicamente ringraziare l’Avvocata Marta Capuzzo dello Studio Legale Moro per questo ennesimo ottimo risultato e Graziano Boschiero, dello sportello Inca all’interno del Due Palazzi che ha seguito fin dall'inizio la vicenda”.
“Consideriamo questa sentenza – interviene Palma Sergio della segreteria confederale della Cgil di Padova – la conferma del pieno riconoscimento di un diritto, e cioè che il riconoscimento del lavoro deve valere sempre in termini etici, morali ed economici indipendentemente se lo si svolge dentro o fuori un istituto di pena, come in questo caso. Veramente assurdo da un lato, da parte dell’Inps, equiparare il detenuto lavoratore a qualsiasi altro lavoratore dipendente a tempo indeterminato del ministero di Grazia e Giustizia e, allo stesso tempo, negare qualsiasi equiparazione con i detenuti che lavorano per datori di lavoro diversi dall'amministrazione penitenziaria. Una differenza di trattamento che il giudice, nella sentenza, ha smontato pezzo per pezzo riconoscendo, peraltro, assolutamente infondata la pretesa da parte dell’Inps di negare l’involontarietà della disoccupazione data la cessazione del rapporto di lavoro con la fine della detenzione. Un'evidente alterazione della realtà, dal momento che, come è stato scritto nella sentenza, non è certamente il detenuto a scegliere quando essere rimesso in libertà e quindi non dipende certo da lui la fine del rapporto di lavoro”.