Oltre 80 pagine di Rapporto “Demografia e forza lavoro” curato da Alessandro Rosina, demografo italiano tra i più autorevoli, per il Cnel. Uno studio denso di dati e di proiezioni. Il professor Rosina spiega che occorre saper leggere i numeri, gli ultimi dati sull’occupazione dell’Istat, ad esempio, diffusi il 7 gennaio 2025 confermano quanto emerge dal Rapporto, l’occupazione che aumenta è quella dei maschi over 45. Ma, ci illustra il demografo, questo andamento del mercato del lavoro è un problema per lo sviluppo e la crescita del Paese. Non solo: se non si investe in occupazione femminile e giovanile la curva demografica non invertirà la sua tendenza al ribasso.

IMAGOECONOMICA
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ALESSANDRO ROSINA (IMAGOECONOMICA)

Nel 2024 si sono creati centinaia di migliaia di posti di lavoro. Al di là dell'analisi sulla qualità di quella occupazione, c'è un dato che emerge con forza: sono aumentati soprattutto i lavoratori tra i 45 e i 65 anni. Che Paese è quello che ha al centro della vita attiva la popolazione maschile adulta?

Un Paese che invecchia, che si sposta dalla fascia tradizionale tra i 35 e i 45 anni a quella oltre i 45 anni. Il problema è che non si allarga alle altre componenti fondamentali, le generazioni più giovani e le donne che garantiscono lo sviluppo nei Paesi più dinamici e più competitivi. I giovani e le donne continuano a essere bloccati su livelli di partecipazione al mondo del lavoro molto bassi, questo rischia di penalizzare la nostra capacità effettiva di crescita. Se ci si accontenta del dato sull’aumento di occupati non si comprende quali sono i cambiamenti verso cui ci si muove. L'aumento dell’occupazione è dovuto alla combinazione dello spostamento in avanti dell’età pensionabile e dell’aumento demografico della popolazione più matura: il risultato è appunto l’aumento di uomini oltre 45enni al lavoro. Se non si coinvolgono le altre componenti della società questo porterà sia a una riduzione della platea dei lavoratori, che a un ulteriore sbilanciamento sulla popolazione lavorativa maschile matura.

Nell’epoca dell’innovazione tecnologica e dell’intelligenza artificiale, cosa significa avere un mercato del lavoro sbilanciato sulla popolazione maschile over 45?

Dobbiamo comunque partire dal presupposto che la longevità fa parte delle trasformazioni in corso. Vivere di più e in buona salute è positivo e sbaglieremmo a definire anziano un cinquantenne. Detto questo, è vero che l’innovazione tecnologica richiede, per poter essere colta positivamente anche all'interno dei contesti lavorativi, nuove competenze, nuove sensibilità e nuove capacità che devono poter essere inserite all'interno del mondo del lavoro e così diventare anche una leva di crescita e di sviluppo. È certo necessario investire su tutti gli strumenti che consentono una formazione continua per tutte le fasi della vita, ma è evidente che il valore aggiunto nella crescita e nello sviluppo lo portano soprattutto le nuove generazioni che hanno idee e modalità di rapporto con l’innovazione tecnologica proprie. L’Italia non sta cogliendo in senso pieno queste trasformazioni, questo cambiamento, questi nuovi strumenti. Se non formiamo bene i pochi giovani che abbiamo, non diamo le competenze giuste per capire come le nuove tecnologie possono diventare parte di una capacità migliore di sicurezza e di modalità di lavoro e, soprattutto, se non li portiamo all'interno delle aziende e nei luoghi di lavoro limitiamo il Paese. Avere pochi giovani e meno formati rispetto agli altri Paesi europei: ne portiamo di meno a concludere fino alla formazione terziaria o più il percorso formativo, li inseriamo meno nel mondo del lavoro e molti giovani laureati italiani se ne vanno all'estero, a contribuire invece a rendere competitivi gli altri mercati del lavoro… è un limite. La nostra incapacità di rinnovare il flusso di entrata nel mercato del lavoro con giovani ben preparati e adeguatamente valorizzati è e sarà uno dei freni che pagheremo maggiormente.

Professore, perché i nostri ragazzi e le nostre ragazze vanno via?

Se noi investiamo meno in ricerca, sviluppo e innovazione il mercato del lavoro diventa meno dinamico, cioè si espande di meno nei settori più competitivi che proprio grazie all'innovazione tecnologica consente di creare nuovi posti di lavoro in cui i giovani possono portare le loro nuove idee che allargano il mercato di prodotti e servizi. Il mercato del lavoro diventa più statico; i giovani trovano lavoro non grazie alle opportunità nuove che si espandono, ma solo quando un lavoratore più maturo va in pensione. La possibilità che dobbiamo cogliere è che i giovani diventino parte di un nuovo tipo di lavoro espandendo il mercato e non, o non solo, sostituendo le generazioni precedenti. Allora investire in innovazione, ricerca e sviluppo è la leva fondamentale. Dove si investe di più nell'innovazione, dove i giovani entrano per portare la loro novità come nuove competenze, ma anche nuove sensibilità e nuove idee e nuove modalità di organizzazione, questi trovano anche stipendi più elevati e più possibilità di fare carriera, insomma si cresce di più.

L’Italia da tempo ha la curva demografia negativa: nascono 1,2 figli per donna. Esiste una correlazione tra bassa natalità e bassa occupazione femminile?

Certo. Non è un caso che noi abbiamo bassa occupazione giovanile e bassa valorizzazione dei giovani del mondo del lavoro, bassa occupazione femminile e anche bassa natalità. È evidente che se i giovani trovano opportunità di essere ben formati, ben inseriti nel mondo del lavoro, adeguatamente pagati e anche con politiche abitative adeguate, più facilmente formeranno una famiglia e avranno figli. Se invece troveranno difficoltà ad uscire dalla casa dei genitori, ad avere una stabilità lavorativa e avere una remunerazione adeguata, posticipiamo sempre più in avanti, fino anche a rinunciare, alla possibilità di formare una famiglia. Vale ancor di più per le donne. In tutti i Paesi avanzati c'è una correlazione tra occupazione femminile e fecondità: dove è più alta l'occupazione femminile tende a essere più alta la fecondità, soprattutto in presenza di strumenti di conciliazione e condivisione. In Italia, è bene ricordare, la copertura dei servizi per l'infanzia è tra le più basse in Europa e in altri Paesi stanno puntando ad equiparare congedi di paternità e maternità, così da coinvolgere maggiormente anche i padri nei carichi di cura e condivisione familiare, da noi no. Negli altri paesi il part-time è soprattutto volontario e reversibile mentre da noi i due terzi del part-time è imposto, quindi in qualche modo viene utilizzato per pagare di meno i lavoratori. Da noi le donne si trovano a scegliere: o lavori e rinunci ad avere figli, oppure hai figli e rinunci a lavorare. Questo vuol dire fa convergere verso il basso sia l'occupazione femminile che la natalità.

Esiste una terza componente del mercato del lavoro che potremmo inserire per invertire la curva demografica e allargare il mercato del lavoro: chi arriva da altri Paesi.

Dobbiamo imparare a gestire meglio in senso positivo i flussi migratori. Sono la risposta più immediata che possiamo mettere in campo, per quei settori che già sentono carenza di manodopera per motivi demografici. Quella dell'immigrazione è una leva importante: dovremmo favorire flussi migratori che consentono poi di riqualificare le competenze che gli immigrati possono portare e renderle funzionali a ciò che il mercato del lavoro italiano richiede, in combinazione anche con politiche di inclusione e integrazione.

E allora come si fa a favorire l'occupazione giovanile, femminile e dei migranti?

Bisogna investire su tutti quei fattori che consentono di andare oltre la figura del maschio adulto su cui si sono finora tradizionalmente concentrate le politiche del lavoro e le aziende. La diversità può diventare un valore aggiunto, quindi occorre riconoscere le specificità del capitale umano femminile, rafforzare le politiche di conciliazione. Altrettanto occorre cogliere le aspettative dei giovani che hanno modalità di lavoro diverse e hanno bisogno di aziende che sappiano riconoscere queste specificità e valorizzarle. E lo stesso vale per l'immigrazione. I migranti hanno un background culturale diverso rispetto alla popolazione autoctona, hanno bisogno quindi di poter imparare bene la lingua, essere inseriti bene, vedersi non solo come braccia che lavorano ma come parte di un modello di sviluppo che non li consideri un'emergenza, bensì parte attiva di un processo di crescita e sviluppo del Paese.