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Si era a circa metà novembre quando il giudice Roberto Beghini del Tribunale del Lavoro di Padova, scriveva queste parole nella Sentenza n. 603/2021: “Per questo motivo (il Tribunale del Lavoro di Padova) accoglie il ricorso ed accerta il diritto del ricorrente alla NASpI (…) e condanna l'Inps a rifondergli le spese di giudizio (…)”. Si chiudeva quindi così, con una vittoria per il Patronato Inca e la Cgil, la prima ripresa di un match la cui chiusura definitiva deve ancora arrivare ma, a meno di clamorose e francamente illogiche sorprese, pare già segnata.
Il Caso
Si trattava di decidere chi avesse ragione tra un detenuto di origini tunisine che dopo aver svolto per diversi mesi, nel corso del 2019, un’attività lavorativa in favore dell'amministrazione penitenziaria, una volta cessata, aveva presentato domanda all'Inps al fine dell'ottenimento dell'indennità di disoccupazione (NASpI) vedendosela respingere, oppure l’INPS che con il messaggio n 909 del 2019, informava che i detenuti/lavoratori dipendenti dell’Amministrazione carceraria non avevano diritto alla NASpI.
“Una decisione, secondo noi, assolutamente arbitraria e contro cui, in comune accordo con la segreteria confederale della Camera del Lavoro di Padova, abbiamo deciso di fare ricorso “accompagnando” 4 detenuti/lavoratori in questo percorso per far valere i propri diritti”. È soddisfatta Antonella Franceschin, direttrice dell’Inca Cgil Padova, che aggiunge: “Questa decisione dell’INPS ci sembrava una evidente forzatura e anche foriera di chiare ingiustizie dal momento che riguardava solo i detenuti/lavoratori alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria (come era il caso del ricorrente che aveva lavorato come addetto alla distribuzione dei pasti) e non quelli in forza a una delle cooperative che operano all’interno del carcere, determinando così una disparità di trattamento che non aveva nessun fondamento”.
“Secondo l'Inps – conclude la Direttrice dell’Inca Cgil Padova – la posizione del detenuto/lavoratore era del tutto simile a quella di qualsiasi dipendente del Ministero di Grazia e Giustizia che in quanto tali non hanno diritto alla NASpI. Una posizione decisamente singolare e che fa a pugni con la realtà, come ha giustamente dimostrato la sentenza. Una buona notizia per almeno una cinquantina di detenuti/lavoratori che si trovano nella stessa identica situazione. Per parte nostra, ringraziamo Graziano Boschiero, l’operatore dello sportello Inca all’interno del carcere 2 Palazzi che ha seguito fin dall’inizio la vicenda. Accanto a lui, ringraziamo l’Avv. Marta Capuzzo dello Studio Legale Moro per questo ennesimo ottimo risultato”.
Un’interpretazione della legge sbagliata da parte dell’INPS
“Una vicenda – interviene l’Avvocata Marta Capuzzo – iniziata nel 2019 per effetto dell’annuncio da parte dell’INPS che informava che i detenuti/lavoratori assunti alle dipendenze delle amministrazioni penitenziarie non avevano più diritto alla NASpI. Naturalmente, una decisione che ha incontrato fin da subito l’opinione contraria sia del Patronato Inca che della Cgil, che hanno deciso così di darci mandato per intentare la causa. Personalmente, oltre a questo caso, ne sto seguendo anche altri presso il Tribunale di Venezia che sono finiti esattamente nella stessa maniera. Siamo solo all’inizio ma queste sentenze stanno sostanzialmente facendo scuola e determinando un orientamento giuridico per tanti altri casi simili”.
“Il giudice – conclude l’Avvocata Capuzzo – nella prima riflessione contenuta nella sentenza, ravvisa e specifica esplicitamente che il trattamento di disoccupazione ha una natura generalizzata e vale per tutti, ad eccezione di quei casi espressamente esclusi dalla norma tra i quali, è evidente, non sono assolutamente presenti i detenuti/lavoratori. Al contrario, vige un principio (previsto sia da norme internazionali che da quelle che regolano l’ordinamento penitenziario) secondo il quale l’organizzazione e i metodi di lavoro all’interno del carcere devono rispecchiare quelli previsti fuori da esso, cioè nella società libera. Un principio che, in questo caso, l’INPS non rispettava”.
L’affermazione di un principio di civiltà e giustizia
“Consideriamo questa sentenza – interviene Palma Sergio della segreteria confederale della Cgil di Padova – la conferma del pieno riconoscimento di un diritto, e cioè che il riconoscimento del lavoro deve valere sempre in termini etici, morali ed economici indipendentemente che lo si svolga dentro o fuori un istituto di pena, come in questo caso".
(Palma Sergio della segreteria confederale della Cgil di Padova)
"Era veramente assurdo - prosegue la dirigente sindacale - da un lato, da parte dell’INPS, equiparare il detenuto lavoratore a qualsiasi altro lavoratore dipendente a tempo indeterminato del Ministero di Grazia e Giustizia e, allo stesso tempo, negare qualsiasi equiparazione con i detenuti che lavorano per datori di lavoro diversi dall'amministrazione penitenziaria. Una differenza di trattamento che il giudice, nella sentenza, ha smontato pezzo per pezzo riconoscendo, peraltro, assolutamente infondata la pretesa da parte dell’Inps di negare l’involontarietà della disoccupazione data la cessazione del rapporto di lavoro con la fine della detenzione. Un'evidente alterazione della realtà, dal momento che, come è stato scritto nella sentenza, non è certamente il detenuto a scegliere quando essere rimesso in libertà e quindi non dipende certo da lui la fine del rapporto di lavoro”.