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Nel Veneto esiste una “questione femminile” più che nel resto d’Italia e ciò si verifica nonostante le donne presentino un maggior tasso di occupazione rispetto ad altre regioni e il reddito medio sia superiore alla media del Paese. Le spie di questo gap si possono leggere in vari aspetti: da una differenza salariale molto elevata (35% in meno rispetto agli uomini) a una maggiore precarietà e marginalità del lavoro, fino allo stesso stato di benessere che, nonostante la maggiore longevità, attribuisce alle donne venete uno scarto nella speranza di vita in buona salute di 4,6 anni in meno rispetto ai maschi: quasi il doppio della media nazionale, un dato le cui cause sono riconducibili essenzialmente a fattori socio-culturali.
La Cgil Veneto ha deciso di approfondire la condizione delle donne nella regione per presentare una serie di proposte che riguardano il lavoro, la qualità dei servizi, il linguaggio e i modelli culturali e che saranno oggetto di confronti con le istituzioni e materia di contrattazione con le imprese. Lo farà con un’assemblea in programma per venerdì 27 settembre a Mestre, all’Auditorium Città Metropolitana di Venezia (via Forte Marghera 191). Ai lavori, che inizieranno alle 9,30 con una relazione di Tiziana Basso, segretaria regionale Cgil, partecipano Susanna Camusso, responsabile della Cgil nazionale per le politiche di genere, e Christian Ferrari, segretario generale della Cgil del Veneto.
Si indagheranno, a partire dalla voce di sindacaliste e delegate che porteranno la propria esperienza concreta, vari temi riguardanti l’universo femminile in Veneto: dalla violenza e molestie dentro e fuori i luoghi di lavoro alla condizione lavorativa e salariale, alle discriminazioni, alla salute e – considerata la coincidenza con il Friday For Future – a una lettura di genere circa lo sviluppo sostenibile e la qualità ambientale.
In occasione dell’assemblea sarà distribuito un report con i dati sulle assunzioni effettuate nel 2019 per titolo di studio e qualifiche, compresa una focalizzazione sui mestieri delle laureate. La penalizzazione sembra una gabbia da cui non si sfugge e anche l’acquisizione della laurea non comporta per le donne una stabilità lavorativa pari a quella dei maschi che, se provvisti del massimo titolo di studio, hanno il doppio di probabilità di accedere al posto fisso.