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Dopo il cosiddetto decreto rave e dopo il decreto Caivano, arriva il disegno di legge sicurezza, il cosiddetto pacchetto giustizia: una serie di misure che introducono nuovi reati e inaspriscono le pene già previste nel nostro ordinamento. A conferma di quanto questo governo, tutto, compattamente, pensa in tema di giustizia e carcere, anche se qualcuno, il ministro della Giustizia, continua ad autodefinirsi un garantista.
Inasprire non serve
Si pensa di risolvere ogni problema soltanto con il diritto penale, con l’introduzione di nuovi reati, con pene sempre più severe, nonostante tutte le evidenze dimostrino che non è con l’inasprimento delle pene che si prevengono i reati. Fin dai tempi di Beccaria e di Manzoni lo sappiamo. E da allora la direzione è sempre stata tendenzialmente quella dell’umanizzazione della pena, dall’abolizione della pena di morte, dei lavori forzati, dell’introduzione delle misure alternative alla detenzione, della dichiarazione di incostituzionalità dell’ergastolo.
Inversione di marcia
Oggi, invece, siamo di fronte a una pericolosissima inversione di marcia, che non tiene minimamente conto delle evidenze, dei numeri, dei fatti, di quanto da tempo molti, giuristi, studiosi, associazioni, garanti, e la stessa nostra organizzazione, stanno chiedendo, a partire dalla depenalizzazione di alcuni reati minori e dall’ampliamento del ricorso alle misure alternative, con la piena applicazione dell’articolo 27 della Costituzione, garantendo alle persone ristrette i diritti individuali, civili, che la detenzione non può e non deve negare, come il lavoro, la salute, l’istruzione, gli affetti.
La pena nella Costituzione
La pena è la privazione della libertà e deve sempre avere il fine riconosciuto dalla Costituzione. Oggi, invece, siamo di fronte a un pacchetto di misure che, oltre a introdurre il reato di rivolta in carcere, peraltro già esistente, che non si limita a perseguire, com’è ovvio, gli atti di violenza, ma qualsiasi forma di protesta, aggrava le pene per chi imbratta beni in uso alle forze di polizia o ad altri soggetti pubblici, prevede il daspo (divieti di accesso a luoghi ad alta frequentazione) per accattonaggio per i minori, ma soprattutto, elimina l’obbligo di rinvio dell’esecuzione della pena per le donne incinte e per le madri di bambini fino a tre anni, con l’obbligatorietà della reclusione per le madri con bambini di età superiore a tre anni.
Nessun bambino in carcere
Abbiamo sostenuto, anche con iniziative pubbliche, che nessun bambino deve varcare la soglia del carcere, che anche gli Icam (istituti a custodia attenuata per detenute madri) sono strutture da superare, perché sempre di carcere si tratta, e la necessità di istituire finalmente le case famiglia per le madri con bambini, già previste per legge e mai realizzate. Sappiamo come è andata a finire, proprio in questa legislatura: il ritiro della proposta di legge Siani/Serracchiani per gli emendamenti presentati dalla maggioranza che ne snaturavano completamente contenuti e finalità.
La Via Maestra
Percorrere la “Via Maestra” per la difesa della Costituzione significa mettere al centro i diritti di tutti, persone libere e persone ristrette, e soprattutto di tutti coloro che più hanno bisogno di supporto e sostegno. Non è con pene sempre più severe che si risponde al bisogno di sicurezza, d’inclusione e giustizia sociale. Il disegno di legge sicurezza deve essere ritirato.
Daniela Barbaresi è segretaria confederale Cgil.
Denise Amerini è responsabile dipendenze e carcere dell’area Stato sociale e diritti della Cgil.