Circa 6.000 precari su 25 mila addetti. È questo lo stato dell’arte della ricerca in Italia. Un contingente che si riforma continuamente, come un’araba fenice, stavolta con il contributo del Pnrr che, pur avendo reso disponibili tante risorse, lo ha fatto esclusivamente per rapporti a termine. Rapporti che, se non interverrà il governo, finiranno nel 2026, “espellendo” dalla ricerca un grande contingente di lavoratori e lavoratrici.

Da 20 anni la stessa storia

È sconsolato il commento di Stefano Bernabei, del centro nazionale della Flc Cgil settore ricerca: “Si ripropone una situazione che ciclicamente va avanti da 20 anni e che si sta appunto inasprendo per via del Pnrr”. È utile ricordare che a oggi l’unico strumento a disposizione per la stabilizzazione dei precari degli enti di ricerca è il decreto Madia (n° 75/2017) che però terminerà i suoi effetti il 31 dicembre del 2026.

Nel primo triennio grazie all’azione del sindacato si sono effettuate le stabilizzazioni di quanti avevano maturato il diritto secondo una serie di parametri molto stringenti (anzianità, inizio del servizio eccetera) fino a esaurire quasi del tutto – ma non completamente – il bacino.

Un bacino che però nel tempo si è riformato – commenta Bernabei – non solo per gli effetti del Pnrr, ma anche per i precari entrati nel frattempo e che non hanno maturato ancora i requisiti della Madia che però, appunto, nel 2026, finirà i suoi effetti”. Il risultato è una massa enorme di precari che, in numeri assoluti, vede in testa il Cnr (4.000 persone), seguito da Infn (723), Inaf (661), Crea (343) e così via.

Enti di ricerca senza fondi

Una quota di questi addetti (ricercatori, tecnologi, tecnici e amministrativi) avrebbero anche raggiunto i requisiti necessari per la stabilizzazione ma, osserva il sindacalista, “non si procede perché molti enti hanno fondi ordinari insufficienti, dopo anni di tagli. Per questo chiediamo risorse fresche per le assunzioni a tempo indeterminato tramite stabilizzazione. Tra l’altro, con il Pnrr sono nati nuovi progetti di ricerca, laboratori, strutture che rischiano di perdersi senza il contributo di queste persone che li hanno messi in piedi. Gli enti dovrebbero assicurarne la continuità, stabilizzando e incrementando il personale”.

Il tema purtroppo è sempre lo stesso: quando si parla di ricerca non entrano solo in ballo i sacrosanti diritti dei lavoratori, ma anche il futuro, lo sviluppo di qualità di un Paese che voglia competere a livello alto in uno scenario globalizzato: “Queste persone le abbiamo formate e pagate per anni. Che ne facciamo? Le lasciamo andare via, magari all’estero?”, attacca Bernabei.

Ed è qui che dovrebbe entrare in gioco la politica. Solo che nella legge di bilancio 2025 non c’è nulla, se non una piccola cifra per il Cnr (10,5 milioni a regime, sufficienti per stabilizzare solo circa 200 precari), che è però stata frutto di un emendamento dell’opposizione: dal governo non è stato fatto alcunché.

Per questo, conclude il responsabile per Inaf e Infn della Flc Cgil, “continueremo a stare a fianco dei precari per garantire loro il diritto di diventare lavoratori e lavoratrici a tempo indeterminato e poter programmare serenamente la propria vita come tutti i cittadini e come afferma la nostra Costituzione. Solo così si può svolgere al meglio il lavoro e accogliere le sfide che la ricerca ci pone senza disperderne il patrimonio”.