Pensare a una semplice coincidenza è arduo. Mentre la Procura di Palermo chiede sei anni di reclusione per Matteo Salvini nel processo Open Arms, in cui Mediterranea Saving Humans si è costituita parte civile, la nave dell’Ong, la Mare Jonio, viene bloccata con un fermo amministrativo. Ora, l'unica nave del soccorso civile battente bandiera italiana, dovrà essere svuotata di tutte le strumentazioni di soccorso a bordo. Il provvedimento è stato preso dopo un’ispezione straordinaria di 10 ore e mezza, su ordine del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, guidato proprio da Salvini.
Laura Marmorale, presidente di Mediterranea Saving Humans, cos'è successo?
È successo che abbiamo subito una visita ispettiva multipla, durata più di 10 ore, con un risultato a sorpresa. In realtà, noi avevamo delle ispezioni rituali già programmate per le normali certificazioni di cui una nave, soprattutto battente bandiera italiana, ha bisogno. Queste ispezioni non hanno rilevato nessun tipo di problema e la nave è perfettamente in ordine. Poi dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, attraverso la Capitaneria di Porto, è arrivata quella che è stata definita “un'ispezione occasionale”, e che ha stabilito che non possiamo più effettuare le operazioni di soccorso, e ci ha intimato di smantellare ogni tipo di infrastruttura presente sulla nave.
Non appare quantomeno strano che questo atto amministrativo arrivi proprio a pochi giorni dall'imputazione per Salvini nel processo Open Arms, in cui vi siete costituiti parte civile?
Sì, l'”occasionalità” dell'ispezione ci sembra proprio strana. Ed è un eufemismo. Abbiamo dato mandato ai nostri avvocati di sottoporre alla Corte di Palermo impegnata nel processo Open Arms questa circostanza. Perché c'è questa situazione molto strampalata, per cui un imputato in un processo, che però ha anche l'agio di essere un ministro della Repubblica, agisce in maniera ispettiva e punitiva contro un'organizzazione che, guarda caso, è anche parte civile contro di lui.
Cosa comporterà questo nuovo blocco e il fatto di dover sbarcare tutto il materiale a terra?
Se non valutiamo le modalità per un eventuale ricorso per ottemperare a questo obbligo rischiamo di perdere l'idoneità di navigazione. Quindi rischiamo che la nostra nave non abbia più il permesso di uscire in mare. Al momento resta la prescrizione da parte del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di liberarci di tutte le attrezzature atte al soccorso. Anche questo è paradossale, perché non esistono imbarcazioni deputate al soccorso. La società civile europea si è dovuta dotare di questi mezzi, perché l'indifferenza generale in cui avvenivano i naufragi era insostenibile. Ma, secondo il diritto del mare, e secondo la Convenzione di Amburgo, ogni tipo di imbarcazione è obbligata a soccorrere laddove ci siano altre imbarcazioni in difficoltà, indipendentemente dall'equipaggiamento che ha a bordo. Quindi, anche da questo punto di vista è evidentemente un provvedimento esclusivamente punitivo.
Cosa avete intenzione di fare ora?
Non intendiamo fermarci. Abbiamo sempre detto che decideremo di sciogliere la nostra organizzazione nel momento in cui non ci sarà più bisogno di operare soccorsi. Quando non ci sarà più bisogno che le persone utilizzino quella rotta maledetta che mette a rischio la loro vita. Attualmente, la condizioni in Libia e in Tunisia sono gravissime, così come le condizioni di guerra in tutto il mondo che spingono le persone a muoversi. La fame e la disperazione sono immutate, se non peggiorate, Quindi noi non faremo un passo indietro finché c'è qualcuno che ha bisogno di aiuto.