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L’autonomia differenziata, divenuta ormai legge dopo la firma del capo dello Stato, impatterà su tutti i settori del lavoro e dei servizi. Trasporto e logistica sono un esempio lampante perché rappresentano l’interconnessione tra le Regioni italiane e anche quelle con gli Stati oltre confine, come bene ci spiega il segretario generale della Filt Cgil, Stefano Malorgio.
Quale valutazione di carattere politico si deve fare sull’autonomia differenziata?
Penso che l'autonomia differenziata sia frutto di un equivoco politico che nasce da molto lontano: i temi che riguardano il rapporto tra lo Stato e il territorio, la titolarità delle materie in questa relazione, sono emersi già negli anni ‘90 e non sono stati mai risolti completamente. Abbiamo oscillato tra forme di federalismo, che ci avrebbero dovuto portare a un equilibrio tra i diversi poteri sul modello federale, e forme di autonomismo spinto, sulle quali si sono costruite alterne vicissitudini. Il processo innescato arriva oggi a compimento anche di fronte alla difficoltà di forze politiche come la Lega che registrano un arretramento pesante nelle Regioni del Nord a vantaggio di Fratelli d'Italia. Mi pare che questo elemento dell'autonomia differenziata tenda al recupero di credibilità di una parte del governo in aree del Paese dove questa perdita è più evidente. Più in generale, non c’è mai stata una discussione pubblica sul tema, il che sottende all’idea che l'Italia è frenata da un equilibrio che impedisce alle Regioni forti di poter concorrere e che invece, in una forma di autonomia spinta, quelle Regioni potrebbero concorrere e sentirsi di essere più libere e anche più competitive.
Questa è, appunto, la narrazione corrente. È giusta secondo te?
No: si tratta di una lettura storicamente e politicamente sbagliata e che, soprattutto, non tiene conto che oggi la concorrenza sui mercati si gioca su scala internazionale. Se l'idea è che il Veneto, la Lombardia o l'Emilia Romagna possono competere con il resto del mondo senza avere dietro una serie di relazioni con tutto il resto d'Italia (che per altro costituisce un altro gran parte del loro mercato) e anche uno Stato forte, si tratta di un’illusione.
In che senso?
A me pare che in Italia si stia ancora cercando una via per avere uno spazio economico. Finita la possibilità di svalutazione competitiva della moneta, che aveva garantito negli anni 90 e 80 la possibilità di essere un Paese anche esportatore, ci si è rivolti al lavoro abbassandone e comprimendone il costo. E ora la stessa cosa si fa con l'autonomia tout court intesa come risposta territoriale: in realtà sono strade che a oggi non hanno portato a niente. Se penso a come le forme di legislazione concorrente nel settore della sanità e dei trasporti hanno agito in questi 20 anni, a me pare che le Regioni spendano di più e che il servizio sia complessivamente calato. Questo ci dice che anche da un punto di vista della vita del cittadino – pure nelle città e nelle Regioni più ricche – la situazione non sia migliorata. Insomma, ci sono evidenze che portano alla necessità di una riflessione che però non trova spazio in una discussione pubblica molto povera.
Quanto impatta l'autonomia differenziata sul settore dei trasporti e della logistica?
Pesantemente. Per esempio, settori come porti, logistica e aeroporti hanno bisogno di una programmazione nazionale molto forte e non di un sistema che genera concorrenza tra territori. Lo stesso vale per il trasporto integrato e le infrastrutture. Se metti in contrapposizione e concorrenza porti e aeroporti, chi ci guadagna sono i grandi player del settore che scelgono cosa fare, ma senza che questo costituisca un elemento di vantaggio complessivo per il sistema. I nostri territori sono estremamente complessi da un punto di vista anche geografico. La sola Liguria, ad esempio, ha più gallerie e ponti dell'intera Francia ed è chiaro che una Regione come la Liguria non può bastare a se stessa nella costruzione della infrastrutture. Soprattutto non si può avere un sistema infrastrutturale che sia totalmente sganciato da un sistema Paese.
E per le persone?
Lo stesso. Avremmo bisogno di sistemi di trasporto delle persone che siano sempre più integrati a livello italiano ed europeo. Invece separare, dividere, rompere, come stanno facendo, rende tutto meno efficace. Le persone non si fermano alla fine di una Regione: hanno bisogno di muoversi tra le Regioni e tra gli Stati con continuità: sistemi differenti che non si parlano non sono produttivi.
In che misura tutto questo impatterà su cittadini e utenti?
Ci saranna conseguenze per i cittadini e, secondo me, anche per le imprese. Prendiamo il caso del trasporto pubblico locale: già oggi il Fondo nazionale trasporti è sottodimensionato rispetto alle necessità: ci sarebbe bisogno di avere dei Lep (i Livelli essenziali dei servizi da garantire in modo uniforme sul territorio nazionale, ndr) che però non si possono fare senza risorse aggiuntive, perché per avere dei Lep uniformi non si può togliere a una Regione e dare un'altra. In questo modo si peggiorerà il servizio della prima non migliorando quello della seconda. C’è bisogno invece di fare investimenti con risorse aggiuntive sul settore del trasporto pubblico. Questo nel ddl Calderoli non esiste.
E per quanto riguarda i porti?
Oggi il sistema non è affidato alle Regioni e l’autonomia differenziata si scontra con un'operazione che lo stesso governo sta provando a realizzare, cioè un Piano nazionale della logistica della portualità. Ci vuole una legge quadro sugli interporti, tra porti e interporti, che implichi una trasformazione. Per capirne l’importanza basti pensare che il gettito fiscale che arriva dal porto di Genova è di circa 6 miliardi di euro e ogni anno il 22% di tutte le entrate fiscali sono legate all'attività portuali. Il tutto viene trasferito interamente a livello centrale ed è la metà della cifra che il nostro Paese deve recuperare per rispondere alle traiettorie fiscali che sono importate dalle nuove regole del Patto di stabilità europeo. È chiaro che se invece tutto rimane sul territorio, si lasceranno alcuni territori completamente scoperti. C’è poi un altro elemento di natura politica più generale: se si associa il sistema di elezione dei presidenti di Regione a un sistema di autonomia così spinto e così forte, si torna ai granducati, e anche il senso complessivo dell'interesse nazionale viene meno.
E per quanto riguarda i lavoratori?
L’impatto potrebbe essere pesantissimo. La domanda è: che senso avrebbe a quel punto un contratto nazionale unico, con sistemi che hanno forme di finanziamento differenti? Il nostro sistema contrattuale esploderebbe, si troverebbe di fronte al fatto che i lavoratori di Genova avrebbero oggettivamente condizioni estremamente diverse dai lavoratori di Ravenna, Venezia o Civitavecchia, e quindi richiederebbero salari differenti. Il porto di Genova, per usarlo ancora come esempio, se non è inserito in un contesto nazionale sul piano infrastrutturale, non può funzionare da solo. Il 70% delle merci del mercato del porto genovese hanno come mercato di riferimento la Pianura Padana, quindi questo punto di interconnessione mancante sarebbe drammatico e complicato.
Possiamo ipotizzare un paradosso: il governo approva l’autonomia differenziata che spacca il Paese e spinge su un ponte per unire l’Italia continentale all’isola di Sicilia. Siamo di fronte a operazioni di pura propaganda e di difesa di interessi particolari?
Io non lo so se è pura propaganda, ma sicuramente c'è un interesse molto profondo di alcune Regioni ad avere in mano l'intero sistema fiscale,senza però una grande preoccupazione su cosa implicherebbe rispetto alle condizioni delle altre Regioni, ma anche di quella Regione stessa. In un mondo dove la competizione è globale l’idea che il Veneto possa competere da solo in Europa e nel mondo dà la misura di che tipo di competizione hanno in mente: un'idea di competizione al ribasso che si scarica sul costo del lavoro e non solo. Sbagliamo se consideriamo gli effetti dell’autonomia differenziata come effetti negativi solo per le Regioni del Sud, perché in realtà questa scelta ancora una volta farà precipitare l’Italia, anche le Regioni più ricche, in una via bassa allo sviluppo. Per questo la discussione su questa legge non può essere scontro solo tra Nord e Sud: credo sia interesse in tutti i lavoratori avere un sistema integrato perché non si scarichino su di loro i costi dell’autonomia.