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In Italia e nel mondo le donne subiscono ancora fortissime discriminazioni nell’accesso al lavoro e nelle retribuzioni, e l’avvento dell’Intelligenza artificiale rischia di peggiorare queste condizioni per cui governi ed imprese dovrebbero impegnarsi a cambiare politiche e cultura. Questo è il fulcro del messaggio che le rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil al G7 delle Pari opportunità che si è svolto a Matera hanno lanciato con il loro intervento.
Oggi le donne, in Italia e nel mondo, sono ancora fortemente discriminate nell’accesso al lavoro, sia in termini di professionalità che di tipologia contrattuale, e subiscono un gap salariale che si trasforma poi in gap previdenziale. Un’ingiustizia che le accompagna lungo tutta la vita.
Al centro di questo meccanismo è il lavoro di cura e il suo portato culturale: si continua a considerare le lavoratrici non sufficientemente centrate su carriera e impegno professionale, poco affidabili, dedite soprattutto a figli, famiglia e casa. Per cui le imprese le discriminano nelle assunzioni e nelle progressioni.
I governi, oggi, nel pieno della crisi demografica che ha investito il modello sociale dei paesi maggiormente sviluppati, invece di adottare politiche di stabilità professionali e di redistribuzione dei redditi, puntano – come in Italia per esempio – sul ritorno alla maternità come funzione sociale e sul ruolo della donna come angelo del focolare. In questo modello, le donne non sono realmente autonome e, anche sotto il profilo economico, sono legate tutta la vita ai propri compagni e/o ai redditi di famiglia esponendosi anche al rischio di non potersi liberare dalle violenze familiari e di coppia.
Ai governi abbiamo chiesto di cambiare politiche, di favorire un cambiamento culturale non più rinviabile attraverso la redistribuzione del lavoro di cura, a partire da congedi di paternità paritari e dal recepimento della Direttiva europea sulla trasparenza retributiva che può scardinare i gap sul lavoro. Si deve intervenire sulle discriminazioni all’ingresso e nel mondo del lavoro e la strada è innanzitutto culturale.
Abbiamo poi chiesto la piena attuazione della Convenzione Ilo 190 sul contrasto alla violenza nei luoghi di lavoro che prescrive una interventi che responsabilizzano governi e imprese ad evitare o a intervenire su violenze e molestie. Oggi le statistiche ci dicono che nel corso della propria vita una donna ogni due ha subito almeno una volta fenomeni di violenza o molestie. Per la cultura tradizionale è una condizione di normalità, quasi scontata, da accettare. Pensiamo, per esempio, a chi svolge professioni a contatto con clienti: sembra quasi che per una donna subire molestie o commenti inappropriati faccia parte del lavoro.
Così come abbiamo lanciato un appello contro le guerre e contro il sistema di potere che esclude le donne da qualsivoglia tavolo negoziale di pace e contro un sistema che da secoli nei conflitti usa il corpo delle donne come terreno di battaglia.
Ma, soprattutto, nell’anno in cui sotto la presidenza italiana è stato eliminato dal documento finale del G7 qualunque riferimento alle garanzie sull’aborto libero e sicuro, abbiamo ribadito unitariamente che le donne debbano avere piena autonomia sulle proprie vite. Anche nel rispetto delle diverse sensibilità, come Cgil, Cisl e Uil, abbiamo chiesto chiaramente piena libertà di scelta e autodeterminazione, a partire dal rispetto per la libera scelta sulla propria salute sessuale e riproduttiva. Per un mondo e una società più equi e più giusti.
Esmeralda Rizzi, Politiche di genere Cgil