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“La chiusura del cracking di Porto Marghera, decisa da Eni, causerà inevitabili ripercussioni per quanto riguarda l’approvvigionamento di materie prime per gli impianti petrochimici di Mantova, Ferrara, Ravenna e a cascata su tutta la filiera manifatturiera posta a valle. Il trasporto via mare, prospettato dall’azienda, è una soluzione che non ci convince sia per le problematiche logistiche, vista anche la vicenda delle grandi navi e il passaggio delle stesse attraverso il canale dei Petroli, che per la sua natura diseconomica e dipendente da fattori imprevedibili, come il meteo, che genereranno una programmazione incerta e inadeguata delle attività”. Così si sono espressi i segretari generali di Filctem Cgil, Femca Cisl, Uiltec Uil, rispettivamente Marco Falcinelli, Nora Garofalo, Paolo Pirani.
“Il fermo dell’impianto di Versalis a Marghera – fanno presente i tre segretari generali - avrà ricadute dirette e indirette su numerose aziende in un’ampia porzione del territorio nazionale, poiché nei grandi siti multisocietari le produzioni delle multinazionali e delle aziende più piccole sono concatenate sia dal punto di vista delle materie prime che dal punto di vista dei servizi, a cominciare dalla sicurezza. Intaccare la strategicità degli insediamenti e della fitta rete di interconnessioni con il tessuto manifatturiero locale e nazionale metterà a rischio la continuità di tutte le attività e dell’occupazione di un gran numero di lavoratori. Il panorama chimico italiano, inoltre, andrebbe incontro a un grave squilibrio con la chiusura dell’ultimo stabilimento di produzione di materie prime chiave, come etilene e propilene in Nord Italia, che vengono attualmente distribuite tramite le pipeline che uniscono i quattro petrolchimici”.
“Con la decisione di chiudere entro il 2022 - continuano i tre dirigenti sindacali –, Eni ha messo sul tavolo progetti di investimento e ammodernamento non sufficienti e in parte già definiti in precedenti accordi, alcuni dei quali avrebbero dovuto essere attuati sei anni fa. Non è accettabile chiudere gli impianti in attesa di una riconversione che, nella migliore delle ipotesi, vedrebbe i primi risultati solo a partire dal 2024. Sul progetto, inoltre, pesano incertezze relative alla completa salvaguardia occupazionale, sia dei dipendenti diretti che dell’indotto, e la poca chiarezza riguardo ad alcune parti, come l’ipotizzata piattaforma di riciclo plastiche”.
“Lo stop al cracking – proseguono i sindacati – è inaccettabile, almeno fino quando non si avrà un'attività industriale alternativa operativa, che tuteli anche le competenze e l’integrità di una filiera vasta e qualificante per l’intera economia italiana. Privando il nostro paese di un’industria chimica solida, moderna e competitiva, ci si allontanerà inesorabilmente anche da una credibile svolta innovativa e ambientalmente sostenibile delle produzioni. Ora diventa indispensabile chiarire la presenza di Eni nell’intero comparto della chimica italiana, di base e non, con una discussione che, partendo dalla vicenda cracking a Porto Marghera su cui Eni ancora a giugno 2019 prevedeva 168 milioni di euro di investimento per la manutenzione industriale degli impianti, abbracci tutte le realtà Versalis del Paese.
“La scelta di Eni - concludono i tre segretari generali – appare dunque sbagliata e illogica, a fronte di una domanda crescente di materie prime per la produzione di plastiche, il cui effetto sarà l’aumento della dipendenza per gli approvvigionamenti da paesi esteri. Per questo, abbiamo chiesto l’apertura di un confronto nazionale con Eni sulla chimica di base e chiederemo un incontro urgente al ministro Giorgetti, vista la rilevanza nazionale della vicenda”.