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Conoscono poco il tema dell’acquisizione della cittadinanza: il significato dei termini, i principi oggi in vigore, le ipotesi di modifica di cui si è discusso negli ultimi anni sembrano aver avuto scarsa presa sull’opinione pubblica, che nonostante l’acceso dibattito rimane poco consapevole. È quanto emerge dai risultati dell’indagine demoscopica realizzata dall’Osservatorio Futura della Cgil “Economia del Paese e vita degli italiani”, che ha intervistato un campione rappresentativo di 800 persone maggiorenni su “I principi di acquisizione della cittadinanza”, uno studio focalizzato sul percepito in relazione a questa questione.
Lo ius soli è il principio di acquisizione della cittadinanza più noto al largo pubblico (62 per cento), complice probabilmente l’eco che il tema ha avuto sui mass media. Lo ius sanguinis si attesta sul 43, mentre lo ius culturae non supera il 36 per cento. Anche sul fronte della normativa vigente, il 41 per cento degli intervistati indica lo ius sanguinis, ma il restante 59 si spacca tra chi pensa che a essere applicato sia lo ius soli (28 per cento), chi indica lo ius culturae (8) e chi proprio non sa quale principio sia in atto (23 per cento).
Passando ai giudizi di merito, solo il 20 per cento del campione ritiene che lo ius sanguinis sia un principio adeguato per l’acquisizione della cittadinanza da parte di uno straniero, il restante 80 per cento non è convinto o sospende il giudizio. E se su questo criterio gli italiani sono ancora piuttosto tiepidi, per oltre un terzo degli intervistati l’inadeguatezza normativa si potrebbe superare introducendo lo ius soli. Anche lo ius culturae ottiene comunque un discreto riscontro, mentre si registra ancora una fetta d'indecisi (17 per cento) che non prende posizione. D’altra parte, lo stesso campione ammette che i due criteri citati, che hanno tenuto banco nel dibattito pubblico e in quello parlamentare, rappresentano un passo in avanti verso la riduzione del gap che l’Italia ha nei confronti del resto dell’Europa.
“L’indagine indica che c’è un’alta percentuale di persone che vorrebbe riconoscere la cittadinanza ai bambini nati e cresciti qui, con un background migratorio – afferma Selly Kane, responsabile delle Politiche dell'immigrazione Cgil -. I dati parlano chiaro: c’è una tendenza e una volontà da parte degli intervistati a favorire il riconoscimento di questo diritto, lo ius soli. Stiamo parlando infatti dei nostri ragazzi, dei nostri giovani che sono italiani a tutti gli effetti, ma che non hanno diritto alla cittadinanza. Una fetta del Paese, una platea d'italiani che oggi non sono riconosciuti come italiani, che sono qualcos’altro rispetto alla società e alle dinamiche economiche. E se lo ius soli è il criterio più popolare, risulta quasi naturale che sullo ius culturae siano maggiormente orientati gli studenti, che insieme ai laureati hanno più conoscenze al riguardo”.
Sono trascorsi più di dieci anni dalla campagna L’Italia sono anch’io, lanciata da una ventina di associazioni laiche e religiose, tra cui anche la Cgil, e dalla raccolta di firme che portò a presentare in parlamento due leggi d'iniziativa popolare, ma il vissuto degli italiani sul tema della cittadinanza non è molto cambiato. Rimane una questione aperta, non particolarmente prioritaria, da risolvere con l’allargamento del riconoscimento.
“E questo nonostante la crisi, le difficoltà economiche, la povertà crescente e il clima politico e culturale che si è determinato a seguito delle strumentalizzazioni – aggiunge Kane -. Negli anni una compagine politica ha creato ad arte molta confusione e ha fatto in modo che l’opinione pubblica pensasse che questo è ‘il’ problema, ha portato la gente a credere che le difficoltà del Paese siano da attribuire all’immigrazione. Noi abbiamo raccolto 200 mila firme per un testo di legge depositato alla Camera, poi passato al Senato riunificando tutte le proposte sul tavolo e lì bloccato da una politica antimigranti che si è tirata indietro per paura dell’opinione pubblica e che ha fatto fare un passo indietro anche sullo ius culturae”.
Oggi è in discussione in commissione Affari costituzionali della Camera lo ius scholae, che riconosce la cittadinanza italiana ai minori stranieri che frequentano le scuole del nostro Paese, l’ennesima iniziativa fermata dall’ostruzionismo delle destre che hanno presentato 500 emendamenti, con l’obiettivo di farla decadere con la fine della legislatura. Uno spettacolo indecoroso che gioca con la vita di centinaia di migliaia di cittadini italiani di fatto, ma non per legge: 857.729 studenti stranieri, per la precisione, secondo gli ultimi dati Censis riferiti al 2019, pari al 10 per cento di tutti gli alunni.
"Anche se è ancora più restrittiva rispetto alle proposte precedenti, riservata com’è solo ai minori con almeno un ciclo scolastico di cinque anni, e sebbene lasci fuori una grande parte della platea, come Tavolo cittadinanza stiamo spingendo affinché il testo sia calendarizzato e vada in aula – prosegue la rappresentante della Cgil -. L’indagine dell’Osservatorio Futura ci conferma che le persone sono a favore di questi cambiamenti legislativi e che la motivazione per cui non vengono approvati è squisitamente politica. La migrazione è usata come tema di scontro elettorale. In un Paese che invecchia e registra da anni tassi di denatalità, tutti gli studi ci dicono che c’è sempre più bisogno di forza lavoro migrante e che i migranti fanno più figli degli italiani. C’è la volontà di non raccontare il Paese reale e di non affrontare la questione come centrale e paradigmatica di ciò che serve all’Italia: il riconoscimento della cittadinanza ai bambini nati e cresciuti qui è una necessità e un’urgenza e fa parte della soluzione ai problemi che ci attanagliano”.
E invece viene offerta una narrazione distorta, che dà alla migrazione la responsabilità dei problemi che viviamo tutti i giorni, la precarietà, la mancanza di lavoro, i bassi salari. “Le conseguenze che vivremo nei prossimi anni sono sotto gli occhi di tutti – dice Kane -: un Paese spaccato, dove la discriminazione passa attraverso il mancato riconoscimento della cittadinanza. Ragazzi e giovani sui quali l’Italia ha investito, senza però dargli una prospettiva futura perché non avranno accesso a importanti opportunità, dai concorsi pubblici alla partecipazione a un progetto europeo. Un vero atto di autolesionismo”.
L’indagine dell’Osservatorio Futura scandaglia anche il ruolo dei sindacati su questo tema, che deve essere attivo nelle aziende su un duplice fronte: da una parte per informare sulle opportunità che lo ius soli e lo ius culturae possono offrire e dall’altro per tutelare i lavoratori stranieri.
"Anche se una parte dell’opinione pubblica ritiene che i sindacati non dovrebbero occuparsene - conclude Kane -, come organizzazioni confederali la questione dello ius soli, dello ius culturae, il diritto di voto alle amministrative rientrano nei nostri compiti, sono nostri cavalli di battaglia. Con Cisl e Uil abbiamo fatto un grande lavoro per una proposta di riforma organica della legge sull’immigrazione: la Bossi-Fini ancora in vigore è discriminatoria e securitaria e mette le persone in condizione di ricattabilità e di sfruttamento. Se non è questo tema per i sindacati, che cos’altro può esserlo?”.