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Nella Vision per l’agricoltura e l’alimentazione presentata dalla Commissione Ue, il documento che serve a indirizzare le politiche agricole comunitarie fino al 2040, c’è un grande assente: il lavoro. O meglio, c’è ma è relegato in appena una decina di righe, su ben 27 pagine di documento.
Condizionalità sociale cercasi
Dove è finita la condizionalità sociale? Dov’è il bisogno di implementarla e di estenderla a tutte le filiere del settore, considerato il successo che ha ottenuto in questi anni? Stiamo parlando della concessione dei pagamenti diretti vincolata al rispetto di norme sulle condizioni di lavoro, incluse quelle per la salute e la sicurezza.
“Nella Vision tutto questo non c’è e la cosa ci preoccupa – afferma Andrea Coinu, capo dipartimento politiche internazionali della Flai Cgil -. Il documento anticipa la scrittura della prossima Pac, la politica agricola comune, e non è solo una dichiarazione di intenti, sono veri e propri impegni che la Commissione prende. Il fatto che la condizionalità sociale non venga citata e che per il lavoro sia stato ritagliato uno spazio piccolo, vuol dire che fattori per noi così centrali per l’Europa sono marginali. Si continua a sponsorizzare la favola che l’agricoltura si autogenera e non ci siano milioni di vite dietro il cibo che quotidianamente consumiamo. La favola secondo cui l’unico problema dell’agricoltura sia il reddito degli agricoltori”.
Competitività e produttività
Ma questo non è l’unico aspetto della nuova strategia che impensierisce il sindacato. Nel delineare la prossima politica agricola, l’Europa sta sposando in modo quasi integralista i principi di competitività e di produttività del Piano Draghi. Un futuro dell’Unione che presenta contraddizioni.
“O si cerca di migliorare la produttività di un sistema per decenni sostenuto con finanziamenti diretti – aggiunge Coinu -, o si punta a garantire un’ampia e varia produzione alimentare che non causi shock al mercato agricolo comune. Non è possibile praticare entrambe le strade allo stesso tempo, né in astratto né in concreto”.
E l’ambiente?
In questo ragionamento si sono smarriti anche gli obiettivi del Green Deal e della sostenibilità. “L’assenza di queste bussole ci fa pensare che si voglia andare incontro a una delle rivendicazioni del movimento dei trattori – dice ancora Coinu -, e cioè la deregolamentazione totale e l’assenza di responsabilità da parte dei produttori nei confronti dell’ambiente e dei lavoratori. Noi siamo convinti che lavoro e ambiente siano due soggetti deboli dell’attuale mondo produttivo e che l’agricoltura non sia un settore fuori dal modello neoliberista dominante e dentro le dinamiche di mercato internazionali”.
A chi serve il Mercosur
Ma c’è anche un’altra contraddizione: “E riguarda il dogma ideologico secondo cui il libero scambio e il libero mercato salveranno l’Europa – prosegue l’esponente della Flai -. Che senso ha promuovere un accordo di libero scambio con il Mercosur per poi definire decine di limitazioni sulle qualità delle produzioni agricole che si possono scambiare? Da una parte si promette ai sudamericani che le loro merci potranno entrare indisturbate nel nostro mercato, dall’altra si tranquillizzano agricoltori e consumatori: gli uni non verranno messi in concorrenza con un sistema che li divorerebbe, gli altri non avranno cibo prodotto con sostanze chimiche vietate nell’Ue”.
Ricambio generazionale
Le questioni critiche sono tante, dal reddito degli agricoltori, sintomo di un modello produttivo che ha sempre inseguito i finanziamenti pubblici anziché mirare a un reale cambiamento, alla tutela delle aree rurali e dell’agricoltura dei piccoli, fondamentale per preservare la biodiversità. E poi il ricambio generazionale che all’orizzonte non si vede.
“I giovani rifuggono da questo lavoro perché non garantisce un reddito decente, ma anche perché è difficile accedere alla terra – conclude Coinu -. Allora o si consente l’accesso e si garantisce una reale redistribuzione dei fondi e delle possibilità di investimento oppure sarà difficile avere coinvolgere le nuove generazioni”.