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Il governo italiano blocca con un provvedimento l’esportazione di armi in Arabia Saudita e negli Emirati arabi uniti, Paesi fautori della guerra nello Yemen contro i ribelli sciiti. Una decisione storica animata anche dai continui appelli delle associazioni umanitarie per dire basta al commercio di morte con i Paesi che violano i diritti umani. “Dalla caduta della prima bomba saudita nello Yemen nel marzo 2015 – afferma Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia – è nata la coalizione della sociale civile italiana affinché il nostro Paese non avesse nulla a che fare con quella guerra e oggi finalmente siamo riusciti a fare prendere al governo la decisione storica di non esportare più bombe per uccidere civili”.
Il problema del mancato rispetto dei diritti umani in questi Paesi permane e così le campagne di Amnesty International per denunciare a gran voce il diniego di questi diritti. “Al di là delle visite occasionali di più leader politici e degli che incontri ufficiali che l’Arabia Saudita rimane il problema delle violazioni – ricorda Noury -. Noi portiamo avanti campagne per i diritti delle donne, contro la pena morte, le condizioni di lavoro inaccettabili e la repressione del dissenso. Ogni volta che ha luogo una visita o si va a fare un salamelecco al principe ereditario queste nostre denunce vengono tirate fuori”.
Circa il numero delle esecuzioni capitali, Noury fa presente che, “nonostatnte in questi ultimissimi anni stiano diminuendo, non di meno rimangono diverse decine. Resta poi un doppio problema: la modalità efferata spesso mediante decapitazione in luogo pubblico e il fatto che, nonostante le recenti riforme che impediscono di mettere a morte i minorenni al momento del reato, alcuni di loro sono ancora nel braccio della morte e quindi a rischio pena di morte”.
Altro capitolo quello che riguarda le condizioni dei lavoratori. “L’invisibilità di queste persone viene dal fatto di non avere diritti, di non potere organizzarsi in sindacati e di non avere accesso alla giustizia – ci racconta il portavoce di Amnesty -. Si tratta di milioni di persone nei diversi Paesi del Golfo, lavoratori migranti che arrivano da Asia meridionale, Bangladesh, Pakistan, India, Nepal, Sry Lanka e altri ancora, che si trovano nell’impossibilita di aderire a uno strumento di negoziato e di lotta come il sindacato, sono alla mercé di datori di lavoro abusivi, con salari trattenuti e non pagati. Senza considerare che non c’è una registrazione sul diritto del lavoro e nemmeno organi di monitoraggio e ispezione indipendenti. Questo è il quadro”.
Noury si sofferma poi sulla relazione tra l’Arabia Saudita e gli organismi internazionali e gli equilibri geopolitici: “È evidente che per fare emergere questa situazione occorre che “l’Organizzazione internazionale del lavoro punti maggiormente gli occhi, come fatto per il Qatar in occasione dei lavori per i Mondiali di calcio, e poi che si mobilitino i sindacati nazionali con un’opera di denuncia. È altresì evidente che l’Arabia saudita ha un peso, un ruolo e un potere contrattuale all’interno della comunità internazionale che rende difficile ottenere miglioramenti nel campo dei diritti umani e questo riguarda soprattutto i lavoratori che sono migranti e quindi doppiamente vulnerabili”.
Amnesty International insiste inoltre da sempre sulle discriminazione di genere. “Magari la condizione femminile in Arabia Saudita ha fatto passi avanti dal punto di vista dei diritti delle donne, con il superamento di decreti assurdi come divieto guidare o la delega all’uomo dell’autorità di prendere decisioni sulle donne della famiglia, ma questo non è avvenuto perché c’è stato uno spirito riformatore – conclude -, ma grazie alla lotta delle attiviste in galera dal 2018 e per le quali ancora non si vede vie d’uscita rispetto alla loro situazione”.