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Niente salario minimo né contributi previdenziali corrisposti per tutti i giorni di lavoro, nessuna pausa di riposo, nessuna indennità di ferie, molte ore di lavoro extra ma nessuno straordinario pagato. La situazione dei lavoratori nell’agricoltura in Almeria, nel sud della Spagna, è sempre più precaria. Ne dà notizia il sito dell'organizzazione dei consumatori britannica Ethical Consumer, che ospita una ricostruzione firmata da Delia McGrath di La Via Campesina. Tra i consumatori britannici e le organizzazioni sindacali spagnole è nata una iniziativa comune per ottenere il miglioramento delle condizioni di lavoro nel settore. L’iniziativa è stata poi rilanciata dalla Fondazione Arthur Svensson.
Le piccole serre a conduzione familiare che coltivano peperoni, pomodori, melanzane, zucchine, fagioli e meloni per i supermercati del Nord Europa sono sparite – ricostruisce Delia McGrath: “Ora le grandi aziende costruiscono strutture massicce e all'avanguardia e la terra viene minata per estrarne acqua. Queste serre gigantesche assorbono un flusso giornaliero di lavoratori provenienti dal Marocco, dall'Africa subsahariana e, in misura minore, dall'Europa orientale e dall'Andalusia”. Nel frattempo le baraccopoli sono cresciute: “Edifici inabitabili, spesso senza acqua, sono divisi e affittati per ospitare gli immigrati che continuano ad arrivare, rischiando la vita in mansioni precarie organizzati dalle mafie che sfruttano la prossimità dell'Andalusia all'Africa”. Una situazione analoga a tanti focolai di sfruttamento della manodopera nel Mezzogiorno italiano.
“Lo scorso 21 gennaio – scrive McGrath – un lavoratore ventisettenne è morto in seguito all'esposizione a prodotti chimici agricoli in una delle fattorie di Nijar. Purtroppo non si tratta di un incidente isolato. Il sindacato andaluso Soc-Sat denuncia come spesso gli addetti siano obbligati a lavorare senza attrezzature di sicurezza anche mentre i prodotti chimici vengono spruzzati nelle serre, e che restino in questi luoghi nocivi anche durante le pause e i pasti”.
“Recentemente la protesta si è concentrata su Godoy Hortalizas, il fornitore spagnolo di Nationwide Produce PLC. Sempre a gennaio, i lavoratori di Godoy sono entrati in sciopero a tempo indeterminato, affermando che l'azienda evitava di pagare il salario minimo di base e tollerava cattive condizioni di lavoro, compreso l'uso non sicuro di prodotti chimici per l'agricoltura. Dopo soli tre giorni lo sciopero ha avuto successo: l'azienda ha accettato un accordo che tutela i salari, gli orari di lavoro e i trasporti”.
Si stima che nella provincia di Almeria oltre il 30 per cento dell’economia sia sommersa: perlopiù basata sull’apporto di immigrati clandestini che possono essere facilmente sfruttati e non sono tutelati dalla legge. “Ironia della sorte – commenta Delia McGrath –, se gli immigrati smettessero di lavorare, o tornassero nei loro paesi, l'industria dell'insalata crollerebbe.
Il sistema di dichiarazione dei giorni lavorativi di fine mese da parte dell'azienda ai fini della previdenza nazionale – scrive sempre McGrath – è “la spina dorsale della principale frode commessa sia contro lo Stato che contro i dipendenti”. Soc-Sat sostiene che questo è il sistema grazie al quale vengono presentate prove fraudolente a certificatori di qualità come Global GAP, Naturland e BioSuisse. “I supermercati utilizzano questi protocolli per garantire che i loro fornitori rispettino i diritti del lavoro. Le buste paga mostrate agli ispettori dichiarano che una data persona ha lavorato tot giorni al mese, con i contributi necessari pagati dai datori di lavoro. Ma, in realtà, quella persona spesso ha lavorato per molti più giorni e ore non dichiarati, che non contribuiranno mai alla sua pensione o ad altre prestazioni e tutele”. È un vero e proprio sistema per “insabbiare lo sfruttamento in agricoltura in Almeria”, denunciano consumatori e sindacato.
McGrath osserva che purtroppo sia i supermercati che i loro fornitori difettano in “trasparenza sulla provenienza dei prodotti agricoli”. Secondo Soc-Sat le condizioni degli orticoltori sono migliorate molto poco, ma ora i lavoratori hanno iniziato a organizzarsi e a protestare. Molti degli immigrati vivono nella zona già da un decennio o due, i loro figli stanno crescendo e questi lavoratori si sono ormai resi conto di non poter sopravvivere col salario che ricevono.
FONTI:
Fondazione Arthur Svensson
Ethical Consumer
(D.O.)