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Alissa Pavia, associate director presso l’Atlantic Council di Washington, analizza i rapporti tra Italia e Tunisia dopo l'incontro della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, con il presidente tunisino Kais Saied,
Il governo italiano ha confermato il sostegno italiano a Saied in materia di investimenti, sblocco del Piano di salvataggio della Tunisia da parte del Fmi e gestione di flussi migratori. Questo nonostante la repressione crescente nel Paese che pone un problema di assenza di democrazia: quali sono i rischi di questo rapporto italo-tunisino?
Innanzitutto bisogna far chiarezza sul fatto che la presidente del Consiglio può fare pressioni sul Fondo monetario internazionale affinché si arrivi a un accordo tra l'Fmi e la Tunisia, ma non ha alcun potere di sblocco. Le negoziazioni fra il Fondo e lo stato in questione (in questo caso la Tunisia) rimangono materia e affari di queste due parti coinvolte. Il rischio di questo avvicinamento verso la Tunisia è quello di favorire la repressione, dal momento che il presidente Kais Saied si rende conto di poter continuare a perseguire la sua svolta autoritaria senza alcuna ripercussione internazionale. Altri attori come l’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno dimostrato il loro dissenso alla svolta autoritaria di Saied tramite comunicati stampa, dichiarazioni pubbliche e social media. L’Italia, invece, è rimasta in silenzio. Essendo l’Italia in questo momento il partner commerciale principale della Tunisia, e sapendo che non avrà ripercussioni economiche, ma che, anzi, l’Italia continuerà a facilitare il commercio e le agevolazioni economiche, il presidente Kais Saied si troverà confortato dal fatto che può continuare a reprimere e mettere in galera oppositori politici senza ostacoli.
Il rischio default della Tunisia è una sorta di arma di ricatto all’Italia e all’Europa con la minaccia di flussi migratori incontrollati?
Più che un’arma di ricatto è una strategia affinché il Fondo sollevi le condizionalità che impone ai Paesi che ricevono i prestiti, soprattutto perché Saied non ha nulla da perdere: se va in default, può chiedere che venga rinegoziato il debito tunisino. L’Italia invece ha tutto da perdere: se la Tunisia va in default, i controlli sui migranti saltano perché non ci sarà più uno Stato per pagare i salari di chi se ne occupa. E dato che la lotta sulla migrazione è il perno della campagna politica di Meloni, lei ha tutto da perdere, soprattutto tra quell’elettorato che l’ha votata per fermare i flussi migratori. Pertanto diventa più importante per lei collaborare con un regime semi-autoritario, piuttosto che rischiare un aumento dei flussi.
Dal governo italiano viene espressa soddisfazione per la possibilità di fermare i flussi migratori verso l’Italia. Ma se davvero è così, i migranti che comunque si accalcano per necessità in Paesi come Tunisia e Libia che destino hanno?
Molti rimangono sul territorio tunisino per anni accampati per strada o nei campi profughi aspettando il ricollocamento internazionale. Molti sono soggetti a soprusi e retate dalla polizia tunisina che cerca di generare terrore per creare un deterrente per altri migranti che vogliono raggiungere il paese. Molti vengono poi presi di mira dai cittadini locali che credono ai messaggi di odio del presidente tunisino verso i migranti. Due settimane fa è morto un migrante dopo essere stato attaccato nella sua dimora a Sfax. Il clima di impunità, la normalizzazione della violenza e la politica di negazione degli attacchi razzisti incoraggiano i fanatici a compiere tali attacchi.
C’è una sottovalutazione del dilagare nell’area nordafricana e mediorientale della violazione dei diritti umani che può diventare connivenza da parte degli altri paesi e in particolare dell’Italia?
C’è già una connivenza da parte dei paesi europei verso quanto succede. Organizzazioni internazionali di rilievo come l’Onu, Amnesty International, Medici senza Frontiere da anni espongono i soprusi che avvengono in Nord Africa e Medio Oriente. Alcuni Paesi europei come la Germania hanno aperto le loro porte ai rifugiati bisognosi, mentre altri, come l’Italia, si sono sempre rifiutati di trovare soluzioni di lungo periodo per aiutare chi scappa dalla guerra, dalla povertà e dalla fame.
Perché l’Europa assiste inerme?
Perché la questione dei migranti è troppo spigolosa e divisiva all’interno dell’opinione pubblica dei Paesi europei. Una grande porzione dell’opinione pubblica è contraria ad accettare rifugiati e migranti, specie quando arrivano dal Nord Africa e dal Medio Oriente. Quando invece si è trattato di rifugiati dall’Ucraina, l’Italia e altri Paesi hanno aperto le loro porte e dato loro priorità. Dopo la crisi migratoria a seguito della guerra in Siria c’è stata un'evidente crescita delle destre estreme in molti Paesi europei che hanno fatto leva sulla crisi migratoria per accrescere il proprio consenso politico e in molti casi, specie quando c’è un sistema proporzionale come in Italia, frange estremiste possono fare la differenza in un’elezione.
Dal suo osservatorio privilegiato, i rapporti dell’Italia con la Tunisia, ma anche con la Libia, quale rilevanza possono avere a livello internazionale, ora e in futuro?
Il governo Meloni sta provando ad accreditarsi come attore internazionale europeista e atlantista per essere percepito come conservatore piuttosto che di destra estrema con legami con il fascismo storico. A livello internazionale questo si evince soprattutto dalla posizione poco critica del governo Meloni verso la conduzione dell’Unione Europea (molto diversa invece dalla sua) e dalla sua presa di posizione netta sulla questione dell’Ucraina. La comunità occidentale è però una comunità che sottostà a delle norme internazionali di diritto comunitario e diritti umanitari che essa stessa ha creato per aver un mondo migliore e più pacifico. Essere fotografati con leader di regimi dittatoriali nordafricani come con Saied e Haftar (che ricordiamo essere stato tenuto responsabile da una corte americana di crimini di guerra) dimostra che l’Italia non ha alcun interesse a sostenere e difendere i diritti di uomini e donne, e questo avrà una ripercussione molto negativa sull’immagine del governo Meloni a livello internazionale.
In Italia si sta parlando di abolizione del reato di tortura. Inoltre, da parte del governo c’è un tentativo di esclusione della stampa dalla sua comunicazione, mentre si danno anche segnali di avvallamento dei timori di parte dell’opinione pubblica su presunte invasioni di migranti: tutto ciò può essere un problema a livello europeo?
A livello dell'Ue il quadro giuridico che vieta la tortura e altre forme di trattamento o punizione crudele, inumano o degradante è stabilito principalmente dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. La Carta è giuridicamente vincolante per gli Stati membri quando attuano il diritto dell'Ue. L'articolo 4 della Carta afferma: “Nessuno può essere sottoposto a tortura o a pene o trattamenti inumani o degradanti”. Questa disposizione riflette l'impegno a sostenere i diritti umani e garantire la dignità delle persone sotto la sua giurisdizione.