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Dopo cinquant’anni cambiano le regole fiscali per i frontalieri italiani in Svizzera. Per meglio dire, cambiano per tutti coloro che stipuleranno un nuovo contratto di lavoro (verosimilmente dal 1° gennaio 2024), nei tre cantoni di confine con l’Italia, lasciando inalterato l’imposizione fiscale per gli oltre 84.000 nostri connazionali che quotidianamente attraversano la frontiera per recarsi a lavoro, attraverso la cosiddetta clausola di salvaguardia estesa anche a tutti coloro i quali, tra il dicembre 2018 e l’entrata in vigore della nuova norma, abbiano lavorato come frontalieri, sia pur in maniera discontinua.
Una lunga discussione durata oltre otto anni che, dopo la falsa partenza del 2015 (l’accordo siglato tra i due governi, ma mai ratificato dal parlamento italiano sotto la contestazione delle forze politiche e sindacali per la sua “radicalità”), è giunta al trattato internazionale del dicembre del 2020 che ha superato in via definitiva “l’eccezione” svizzera della tassazione esclusiva nel paese di lavoro frutto degli accordi del 1974. A metà degli anni settanta infatti, si cancella il concetto di contingente di immigrazione, definendo la fascia di confine di 20 km all’interno del quale il frontaliere diventa “fiscale”, cioè soggetto a una tassazione alla fonte esclusiva. Per la prima volta quindi, nella medesima giornata del 2020 le organizzazioni sindacali confederali e l’associazione italiana dei Comuni di confine con la Svizzera (Acif) siglano un memorandum d’intesa con il ministero dell’Economia volto a mitigare le conseguenze di quella scelta per “vecchi” e “nuovi” frontalieri. Il successivo iter parlamentare, un disegno di legge che è il combinato disposto tra le intese citate, porta all’approvazione del Senato in via definitiva lo scorso 31 maggio.
In buona sostanza, tutti coloro che stipuleranno un nuovo rapporto di lavoro con l’entrata in vigore della nuova legge passeranno dalla tassazione esclusiva a quella concorrente (fino all’80% in Svizzera e una parte in Italia). Il versamento alla fonte sarà quindi stornato dall’imponibile e, detratto dal credito d’imposta (franchigia fiscale), tassato in Italia secondo il consolidato modello Ocse contro le doppie imposizioni. L’inevitabile incremento di tassazione determinato dalla fiscalità italiana, verrà parzialmente compensato dall’introduzione di alcune misure perequative definite nell’intesa sindacale, in particolare: l’incremento della franchigia a 10.000 € (contro i 7.500 della finanziaria 2014), una serie di deduzioni e detrazioni su assegni previdenziali e familiari percepiti all’estero, volti a ridurre l’imponibile fiscale della quota dichiarata in Italia; va da sé che la materia fiscale viene estesa a tutti i frontalieri italiani che lavorano in uno dei nove paesi confinati o limitrofi, anche extra UE, regolati da convenzioni fiscali bilaterali.
Interessante sarà osservare nei prossimi anni quali dinamiche sulla circolazione transfrontaliera dei lavoratori determinerà questo cambio di condizione, mentre il Senato, nella relazione di accompagnamento, stima un incremento annuo del 5% verso i cantoni del Vallese, Ticino e Grigioni privilegiando le dinamiche macroeconomiche tra i due lati del confine (differenze del Pil nell’area insubrica, tassi di occupazione, forza dell’economia elvetica, modifica del sistema dei ristorni fiscali per le aree di confine ed efficacia del fondo rotativo introdotto per i progetti socioeconomici), rispetto alle differenze salariali nette tra vecchi e nuovi che, al contrario, potrebbero indurre paradossalmente a una nuova dinamica dei salari volti alla fidelizzazione alle imprese in un paese a forte domanda di lavoro, anche in ragione di un inverno demografico particolarmente rigido che la Svizzera sta da anni attraversando.
L’intesa, definita storica da più parti in relazione a un indiscutibile adattamento a regole più “europee” anche della Svizzera, ha in realtà introdotto elementi di grande interesse ben oltre la questione fiscale. In particolare, per la prima volta potremo discutere in un apposito tavolo interministeriale costituito ad hoc (Maeci, Mlav Mef), del cosiddetto Statuto dei lavoratori frontalieri. Dal nome evocativo, l’obiettivo è quello di definire la figura giuridica del frontaliere, oggi normato dal solo regolamento europeo di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociali (883/04) e di istituire un osservatorio nazionale del fenomeno ad oggi monitorato dai soli Enti di statistica esteri. Così come la previsione di interventi sul lavoro a distanza (questione ad oggi critica per il venir meno degli accordi amichevoli che lo hanno regolato nel corso della pandemia), rappresentano uno dei capisaldi della discussione che le organizzazioni sindacali potranno finalmente avviare in una sede propria sul lavoro transfrontaliero che oggi riguarda in Italia oltre 120.000 lavoratori.
Giuseppe Augurusa è responsabile frontalieri della Cgil nazionale