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I numeri non mentono, Meloni e il governo sì. La manovra all’esame del Parlamento è chiara: gli stanziamenti per il Fondo sanitario nazionale diminuiscono fino a scendere sotto il 6% del Pil entro tre anni. A lanciare l’allarme sulla sanità non sono solo i sindacati, ma tutte le maggiori istituzioni e agenzie indipendenti, da Banca di Italia alla Corte dei Conti, dalla Fondazione Gimbe all’Istat.
Salute al centro?
“Con quale coraggio il ministro Schillaci dichiara che questo governo ha rimesso al centro la salute delle persone? I numeri sulla sanità, nella loro crudezza, parlano chiaro, e lo sa bene anche lui, che gioca alla propaganda”. Così la segretaria confederale della Cgil Daniela Barbaresi commentando quanto dichiarato dal ministro in una recente intervista. “Giova poi ricordare a Schillaci – ha aggiunto la segretaria confederale - che già ora l’Italia è il Paese con la minore spesa sanitaria dei Paesi del G7, sia in rapporto al Pil che in termini di spesa pro capite, oltre ad essere l’unico Stato nel quale è inferiore a quella di dieci anni fa. Con una spesa sanitaria del 6,2% in rapporto al Pil, siamo anche agli ultimi posti in Europa. Intanto – ha sottolineato - cresce la spesa sanitaria privata sostenuta dalle famiglie, che ha raggiunto i 46 miliardi di euro”.
Sanità a rischio
Lo affermano quanti sono andati davanti ai parlamentari ad analizzare la manovra. La Corte dei conti, ha illustrato il “profilo riduttivo delle risorse per la sanità” visto che – da tabelle governative – “il fondo che la finanzia passa dal 6,3% del Pil del 2024 al 5,9% del 2027”. Forse un po’ a sorpresa hanno colpito le parole del presidente del Cnel Renato Brunetta, che ha voluto ricordare come l’invecchiamento della popolazione ormai sia una realtà consolidata. Proprio per questa ragione “è da considerare che in un’ottica di invecchiamento della popolazione e aumento delle esigenze di cura, il mantenimento di una spesa pressoché stabile in termini di Pil è un obiettivo che potrebbe risultare inadeguato rispetto ai fabbisogni reali”. Per di più, è difficile considerare il passaggio dal 6,3 al 5,9 una stabilizzazione della spesa.
C’è chi non si cura
In questo caso i numeri li ha dati il presidente dell’Istat Francesco Maria Chelli che è tornato a snocciolare quelli dei cittadini e delle cittadine che non si curano: nel 2023 il 7,6% della popolazione italiana, 4 milioni di persone, ha rinunciato a curarsi, contro il 6,3% del 2019. Cheli ha poi anche spiegato il perché: “La quota di quanti hanno rinunciato a causa delle lunghe liste di attesa risulta pari al 4,5%, contro il 2,8% nel 2019. Le rinunce per motivi economici riguardano il 4,2% della popolazione, quelle per scomodità del servizio l'1,0%”. Ora, è bene ricordare che nel 2023 – anno a cui si riferiscono i dati – Giorgia Meloni governava già da un anno e nel 2024 le cose non possono che essere peggiorate, visto che la spesa sanitaria rispetto ad allora è ulteriormente diminuita.
La sanità privata brinda
“Sempre nel 2023, la spesa sanitaria direttamente a carico delle famiglie supera i 40,6 miliardi (+1,7% rispetto al 2022); dopo il calo del 2020, si è registrata una forte ripresa che ha portato la variazione media 2019-2023 a +2,7%". È ancora il presidente dell’Istat a certificarlo parlando di quanto i cittadini e le cittadine pagano di tasca propria per far fronte ai propri bisogni di salute. A questi numeri vanno poi aggiunte le risorse che il governo ha assegnato in più alla sanità privata. È tanto vero questo che, Gabriele Pelisserio, presidente nazionale di Aiop audizione in Parlamento, si è detto molto soddisfatto della legge di bilancio visto l’aumento dei regimi tariffari. Qualche numero? Con la manovra aumenta il tetto di spesa per le prestazioni che il Ssn può “comprare” dai privati: più 61,5 milioni nel 2025, più 123 dal 2026.
Emergenza personale
“Siamo indignati più che delusi: la legge di bilancio non dà nessuna risposta concreta alle nostre richieste in tema di assunzioni, unico intervento necessario per migliorare le condizioni di lavoro, a fronte di un finanziamento vergognoso per lo sblocco del tetto per le prestazioni fatte dal privato convenzionato”. È questa la reazione a caldo di Andrea Filippi, responsabile della Fp Cgil Medici, che ha aggiunto: “Le risorse per i contratti rimangono insufficienti in rapporto all'inflazione e le risorse extracontrattuali per il 2025 sono ridicole, circa 30 euro lorde per professionista. Infine non ci sono risorse per riformare e valorizzare la formazione specialistica e le specializzazioni non mediche continuano a non essere retribuite. Noi continuiamo la nostra mobilitazione fino allo sciopero”.
Manca personale e mancherà
A dirlo non è solo la Cgil, ma ad esempio Banca di Italia che ha calcolato che nei prossimi anni serviranno circa 40mila mila medici e altrettanti infermieri solo per rimpiazzare quanti andranno in pensione. Ma si sa, con la legge di bilancio il governo – come fece anni fa quello guidato da Berlusconi – ha di nuovo messo un blocco al turn-over del personale di tutti i settori pubblici. Ha aggiunto Chelli dell’Istat: “Il numero di infermieri e ostetriche è da molti anni ritenuto insufficiente rispetto ai bisogni di salute della popolazione. La dotazione nel 2022 è pari a 6,8 per mille abitanti, 0,4 punti in più rispetto al 2019. Tra le regioni si osserva un ampio divario, con una dotazione particolarmente bassa pari a 5,7 infermieri e ostetriche per mille residenti in Lombardia, Campania e Calabria e a 6,0 in Sicilia, mentre tassi significativamente più elevati si registrano in Molise,8,8, nelle Province di Bolzano e Trento, 8,3, in Liguria, 8,1, e in Umbria, 8,0”.
Un paio di domande
Cosa succederà con l’avvio della autonomia differenziata nella malaugurata ipotesi che ciò avvenisse? Per avere chiarezza di ciò che già accade oggi basta leggere il Rapporto Agenas sugli esiti delle cure ospedaliere, che racconta precisamente l’Italia delle diseguaglianze. La seconda domanda: ma non sarà che per “rispondere” alla mancanza di personale presente e futura basta cambiare il metodo di calcolo su cui si fonda la predisposizione dei fabbisogni di personale e le piante organiche? Proprio l’Agenas sta lavorando a tutto ciò, ma non se ne riesce ad avere notizia.
I numeri del collasso sanità
Li sottolinea uno studio della Cgil analizzando le tabelle della manovra: “Il ddl Bilancio 2025 - si legge nello studio - prevede per il Fabbisogno sanitario nazionale altri tagli dell'investimento sul Pil: peggiora rispetto a quanto previsto dalla Legge di bilancio 2024, scendendo dal 6,12% al 6,04% e si prevede un ulteriore calo per il 2026 fino al 6,03% e poi al 5,91% al 2027. Rispetto al 2021 (quando il Fsn era al 6,8%), il governo Meloni taglia un punto di Pil che corrisponde a oltre 20 miliardi di euro in meno di investimenti”.
La via da seguire
“Per la Cgil - ha affermato Barbaresi - sono tre le azioni prioritarie: aumentare progressivamente il Fondo sanitario nazionale fino ad almeno il 7,5% del Pil a decorrere dal 2027; riconoscere il valore di chi tutela e genera salute, assiste e cura attraverso un piano straordinario di assunzioni, la valorizzazione economica e professionale del personale del Ssn a partire dal rinnovo dei ccnl garantendo la piena tutela del potere d’acquisto delle retribuzioni e il reale superamento dei tetti alla spesa sul personale; realizzare la piena e omogenea attuazione della riforma dell’assistenza territoriale, con il personale necessario; garantite adeguate risorse e misure a sostegno dei bisogni delle persone non autosufficienti, dando attuazione alla legge n. 33/2023”.
È sciopero generale
Governo, se ci sei batti un colpo. O meglio forse il colpo è stato battuto, esattamente nel segno dell’obbiettivo nascosto ma abbastanza esplicito: la fine dell’universalità del servizio pubblico, la privatizzazione della sanità visto che più si restringe quella pubblica più si allargano quella convenzionata e quella privata. La tutela della salute classista che aggrava e acuisce le diseguaglianze perché chi può paga e chi non può non si cura.
Il Servizio sanitario nazionale pubblico e universale è stato conquistato nel 1978 grazie alle lotte di lavoratori e lavoratrici, cittadine e cittadini, operatori del settore. Difenderlo e rilanciarlo sono tra le ragioni dello sciopero generale convocato da Cgil e Uil per il prossimo 29 novembre: braccia incrociate e piazze piene.