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Nella prima metà degli anni Cinquanta le principali rivendicazioni delle donne sul terreno del lavoro sono l’attuazione del dettato costituzionale sulla parità salariale e la realizzazione di una tutela della maternità che garantisca non solo migliori condizioni di lavoro, ma anche una serie di servizi esterni di sostegno.
La legge sulla tutela delle lavoratrici madri, per la quale si era battuta Teresa Noce, verrà approvata nel 1950. Sempre per iniziativa di Teresa Noce, nel maggio del 1952 viene presentato alla Camera il progetto di legge per l’Applicazione della parità di diritti e della parità di retribuzione per un pari lavoro. Oltre a Teresa Noce figuravano come firmatarie altre undici parlamentari donne, appartenenti sia al Partito comunista sia al Partito socialista, e più di 20 parlamentari uomini (tra questi Giuseppe Di Vittorio).
“Teresa Noce - riporta la storica Eloisa Betti - mobilitò le lavoratrici tessili nei luoghi di lavoro e fece giungere una lettera al Presidente del Senato della Repubblica italiana firmata dalle sindacaliste della Cgil in rappresentanza di 1.300.000 donne lavoratrici”. Nel solo 1952, le lavoratrici industriali inviarono centinaia di petizioni al Senato per supportare la proposta di legge di Teresa Noce, che non sarà neppure discussa in Assemblea plenaria, ma rimandata alla Commissione Lavoro della Camera dei deputati.
Nella seconda metà degli anni Cinquanta il lavoro femminile acquisisce una maggiore visibilità e importanza in seguito all’aumento del numero delle lavoratrici durante il cosiddetto “miracolo economico”. E qualcosa - soprattutto a partire dall’approvazione della Convenzione Oil n. 100, ratificata in Italia l’8 giugno 1956, divenendo legge l’anno successivo - comincia a cambiare.
“A Milano - riporta ancora Eloisa Betti - un tribunale legiferò in favore delle donne lavoratrici che richiedevano l’applicazione nei contratti di lavoro del principio della parità salariale sancito dall’articolo 37 della Costituzione italiana. Il tribunale dichiarò che il principio della parità salariale contenuto nella Costituzione italiana aveva valore normativo e non programmatico, come era stato sostenuto fino ad allora dalle associazioni datoriali e da parte della magistratura italiana”.
Una nuova proposta di legge viene presentata il 23 ottobre 1958. A Marisa Rodano, prima firmataria, seguono altre undici donne, tutte appartenenti all’Udi, parlamentari nelle fila del Partito comunista e del Partito socialista (anche i parlamentari della Cgil forniscono un importante supporto alla proposta di legge e, in aggiunta alle proposte elaborate da Teresa Noce e Marisa Rodano, anche i parlamentari democristiani che afferiscono alle Acli, a fronte delle pressioni esercitate dal Centro italiano femminile, presentano una ulteriore proposta).
I negoziati tra Confindustria, Cgil, Cisl e Uil porteranno nel luglio 1960 alla firma dell’Accordo inter-confederale sulla parità salariale nell’industria. L’accordo elimina formalmente la divisione tra le categorie maschili e femminili, stabilendo un unico schema di classificazione, fissando categorie con differenti indici salariali. Le donne lavoratrici - però - vengono generalmente collocate nelle categorie più basse del nuovo schema, con i datori di lavoro che continuano ad affermare che il lavoro femminile è di minor valore perché le donne sono meno qualificate.
Dopo la conclusione dell’accordo del 1960, nel settore industriale ogni categoria inizia la propria contrattazione, ma bisognerà ancora attendere molto - troppo! - per una legge vera e propria.