PHOTO
Vittoriosa la class action promossa dalle associazioni, accolto il ricorso presentato da oltre un centinaio tra persone straniere e datori di lavoro. Il Consiglio di Stato, con una sentenza dello scorso 20 settembre, accoglie, per la prima volta in materia di immigrazione, un'azione collettiva contro la pubblica amministrazione, in particolare la Prefettura di Milano, per i gravi e sistematici ritardi nella definizione della procedura di emersione dei rapporti di lavoro.
Si tratta di un'azione finalizzata a “ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio”. I suoi promotori sono Asgi, Oxfam, Cild, Spazi circolari, Naga e oltre 100 cittadini stranieri e italiani, con il supporto di Diritti attivi e sostenuti da un ampio collegio di avvocati.
Ed è proprio un avvocato di Asgi, Salvatore Fachile, a spiegarci: “La nostra è stata un'azione collettiva di tipo giudiziario su segnalazioni di persone che lamentavano l'inefficienza della pubblica amministrazione. Finora la magistratura, il Consiglio di Stato in particolare, non aveva mai accolto nessuna di queste azioni in tema di immigrazione, perché forse c'è sempre stato uno sguardo negativo nei confronti di questo tema. Proprio il massimo organo di consulenza giuridico-amministrativa si è dato invece disponibile e per la prima volta ha accolto un ricorso, condannando la Prefettura di Milano per gli enormi ritardi sulla procedura di regolarizzazione, iniziata nel 2020, definendoli ingiustificati”.
La legge prevedeva il limite massimo di sei mesi per la conclusione della procedura, mentre lo Stato ha fatto trascorrere fino a quattro anni. Per il Consiglio di Stato “questa inefficienza – dice Fachile – non è dovuta a problemi di risorse economiche, tanto è vero, dice il Consiglio, che dopo due anni e mezzo la Prefettura di Milano ha tirato fuori i soldi che erano stati elargiti sin dall'inizio e questo l'avrebbe potuto fare prima. Stessa cosa vale per la Prefettura di Roma. Si afferma quindi che si tratta di un'inefficienza ingiustificabile e, conseguentemente, la pubblica amministrazione va sanzionata perché si deve riconoscere che è stata inefficiente”.
Per l'avvocato di Asgi si tratta di una sentenza di enorme rilievo politico e prospettico: “Significa che ora la pubblica amministrazione dovrà concludere obbligatoriamente entro sei mesi la prossima procedura similare di sanatoria di regolarizzazione”.
Non si tratta però esclusivamente di un punto di vista giuridico, ma soprattutto umano, perché per chi ha chiesto la regolarizzazione un ritardo di tre anni e mezzo “vuole dire non potere uscire dal territorio italiano, fare ritorno nel Paese di origine e ritornare, esercitare i diritti di base. Non si può avere la residenza, la tessera sanitaria, cambiare lavoro, e si hanno problemi per l'iscrizione dei bambini a scuola, alla mensa, al medico di base. Non avere la carta d'identità significa avere sempre bisogno di convincere qualsiasi interlocutore che si è comunque regolari, perché si sono pagati 500 euro tre o quattro anni prima e così anche le operazioni più semplici della vita quotidiana diventano molto complesse e alcune sono proprio vietate, come rivedere i propri familiari”.