“I meccanismi di erogazione necessitavano di un intervento necessario a evitare comprovati sprechi, moralizzare il settore ed evitare abusi”. Così il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano ha risposto lo scorso 24 luglio, nel corso dell’interrogazione parlamentare alla Camera dei Deputati, ai colleghi dell’opposizione che sollecitavano risposte chiare sul tax credit e i fondi destinati al cinema, ancora in attesa di essere erogati quando è già trascorsa metà del 2024.

COS’È IL TAX CREDIT

Il tax credit – ovvero credito di imposta- è un meccanismo di compensazione dei debiti fiscali e previdenziali delle imprese, calcolato automaticamente sulla base dei costi sostenuti per lo sviluppo, la produzione, la distribuzione nazionale e internazionale di film, opere tv, opere web, videogiochi e per l'apertura o ristrutturazione di sale. Una misura ormai invalsa in Italia e all’estero, che incentiva nel senso letterale del termine alla produzione di nuove opere. Il ministro Sangiuliano ha espressamente sostenuto la necessità di riformare questo meccanismo di erogazione trasformandolo da contributo automatico, quale è attualmente, a risorsa concessa esclusivamente in presenza di precisi requisiti.

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UNA MISURA CHE AIUTA I BIG 

Ciò ridurrà di parecchio gli stanziamenti previsti: 130 milioni di euro, il 47% in meno rispetto agli anni precedenti, secondo i dati condivisi dalle opposizioni. I piccoli produttori hanno prontamente palesato un forte scontento per una misura che favorisce le major, perché con le nuove regole metà dei film di solito presentati in concorso a festival prestigiosi come Venezia, domani non esisteranno più. Il decreto di riforma priva nei fatti le piccole imprese di esistere, dal momento che non potranno più beneficiare del tax credit, perché non sarà più un automatismo di legge.

LE NUOVE REGOLE 

Per accedere a questo sistema di finanziamento di base sono state introdotte nuove condizioni. Primo: possedere il 40% di capitali privati alla presentazione della domanda. Secondo: rientrare in uno dei tre scaglioni di budget previsti per la produzione dei film, ovvero sopra i 3 milioni mezzo, sotto i 3 e mezzo, e sotto un milione e mezzo. Per capirci: una piccola impresa con un capitale sociale al di sotto del milione e mezzo, dovrà fornire come garanzia una percentuale di 600 mila euro (il 40%). Si tratta di cifre che bloccano a monte la produzione per moltissime piccole e medie imprese italiane.

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FUORI LE PICCOLE PRODUZIONI

Tra le presunte “storture da correggere”, Sangiuliano ha citato i film programmati in sala alle 8.00 di mattina o usciti in meno di 200 copie, come se tali dati rappresentassero dei risultati troppo scarsi per giustificare la concessione di finanziamenti pubblici. Per questa ragione, la riforma introduce tra i requisiti quelli di distribuzione: 240 proiezioni entro un mese in prima fascia. Praticamente Hollywood, per un’opera prima di fiction o cinema del reale. Per i prodotti da un milione e mezzo a 3 milioni mezzo sono chieste 980 proiezioni nel primo mese, sempre nella fascia oraria 18:30-21:30.

IL RISCHIO DISOCCUPAZIONE

Sopra i 3 milioni mezzo ne vengono chieste 2.100. Ciò significa in automatico escludere non solo le piccole case di produzione, ma anche moltissimi giovani autori e registi, nonché tutte le professionalità che concorrono alla realizzazione di un film. Questo si ripercuoterà inevitabilmente sull’occupazione, in un settore già di per sé precario, e molto fragile. Lo fa notare la Slc Cgil, che paventa il rischio di disoccupazione di lunga durata, in assenza di un sistema di welfare adeguato, e l’impoverimento della sperimentazione. Moltissime produzioni non sono ancora partite, con ricadute molto pesanti su lavoratrici e lavoratori, proprio a causa del blocco dei finanziamenti pubblici. Attualmente il 65% dei lavoratori è fermo.

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TUTTE LE MISURE INEFFICACI

Ma non è l’unico problema per il settore: “è stata rinviata la realizzazione del Codice dello spettacolo di 12 mesi- fa notare ancora la Slc - e non ci sono risposte sull'indennità di discontinuità, misura che attende di essere resa esigibile e applicata in modo pertinente a tutti i lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo”. Quelli – i moltissimi- che non hanno potuto accedervi, fanno fatica a percepire anche la Naspi a fronte della riduzione del lavoro, come un cane che si morde la coda.

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ADDIO AL CINEMA ITALIANO

Un altro criterio che potrebbe rivelarsi pericoloso prevede che i contratti validi per poter ottenere il credito di imposta di distribuzione debbano essere sottoscritti dalle prime venti società in termini di fatturato. Di fatto, le prime venti società di distribuzione italiane sono quasi tutte multinazionali straniere o partecipate. “Si rischia l'eliminazione di prodotti indipendenti e di veder appiattita la produzione alle grandi imprese spesso di carattere internazionale – conclude la Slc - eliminando non solo quei soggetti che utilizzano i finanziamenti in maniera distorta o addirittura dolosa, ma anche il lavoro legato alla sperimentazione in un sistema culturale attraversato da grandi cambiamenti sociali, tecnologici e nelle professioni”. La fine di quel Made in Italy che il governo e il ministero della cultura si fregiano di osannare.

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