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Ricoverato il 29 febbraio nel reparto malattie infettive dell’Ospedale dell’Università centrale delle Asturie (Huca) a Oviedo a causa di una polmonite associata al Coronavirus, il 16 aprile 2020 moriva, dopo aver lottato strenuamente per mesi, Luis Sepúlveda, scrittore, giornalista, sceneggiatore, poeta, regista, attivista politico membro della scorta personale del presidente cileno Salvador Allende.
Esule politico, guerrigliero, ecologista, viaggiatore dal passo ostinato e contrario. Un dispensatore di sogni. Un poeta rivoluzionario. Un intellettuale combattente che nonostante tutto ci ha insegnato a sognare.
Un uomo la cui vita è degna essa stessa di un romanzo.
Luis Sepúlveda e Salvador Allende
Membro della scorta personale del presidente cileno Salvador Allende (durante i 1000 giorni di governo Sepúlveda partecipa in prima persona al processo di democratizzazione del Paese. Fa parte della struttura militare del partito socialista, diventa membro dei Gap e guardia personale del presidente) racconterà: “Io non ero al Palacio de la Moneda durante i bombardamenti. Ci alternavamo nell’affiancare Allende: io e altri compagni quel giorno fummo distaccati a Santiago, di guardia a un pozzo di acqua potabile, obiettivo sensibile dei fascisti. Il primo istinto fu quello di andare subito alla Moneda. Ma fu impossibile, ovunque c’erano soldati che sparavano, morti. Un mortale senso di impotenza mi assalì. Però quel giorno riuscimmo a raggiungere un ospedale, dove ascoltammo l’ultimo discorso del presidente a Radio Magallanes. Una meravigliosa chiamata alla responsabilità, alla sopravvivenza: ci chiedeva di non farci uccidere, la nostra vita era necessaria per organizzare la Resistenza. I compagni alla Moneda, invece, morirono tutti”.
Prigioniero politico durante il colpo di Stato di Pinochet, incarcerato, torturato ed esule, è stato anche attivista di Greenpeace oltre che scrittore e regista.
Le sue esperienze, sebbene raccontate in maniera astratta (raramente Sepùlveda fa riferimento a se stesso come protagonista), sono il punto di partenza di ogni sua narrazione, costantemente intrisa di lotta per un mondo migliore e difesa dell’ambiente. Capitolo a parte meritano i suoi libri di favole (“La favola - dirà - per me, è una maniera per condividere qualcosa con lettori giovanissimi, che presto diventeranno adulti e cittadini responsabili”), ricchissimi di significati simbolici a partire dal primo e più noto, La gabbianella e il gatto che le insegnò a volare.
Raccontare è resistere
Il 22 dicembre del 1988 moriva a Xapuri, cittadina dello stato brasiliano di Acre nel cuore dell’Amazzonia - dove era nato - Chico Mendes, sindacalista, politico e ambientalista, ucciso a colpi di fucile davanti alla porta di casa per il suo impegno in favore degli Indios dell’Amazzonia.
A lui Sepulveda dedicherà il romanzo Il vecchio che leggeva romanzi d'amore.
“Mentre questo romanzo veniva letto, a Oviedo, dai membri della giuria che pochi giorni dopo gli avrebbero assegnato il Premio Tigre Juan – dirà - a molte migliaia di chilometri di distanza e di ignominia una banda di assassini armati - pagati da criminali ancora peggiori, che hanno abiti ben tagliati, unghie curate e dicono di agire in nome del 'progresso'- uccideva uno dei più illustri difensori dell'Amazzonia, una delle figure più rilevanti e coerenti del Movimento Ecologico Universale. Questo romanzo non potrà più arrivare tra le tue mani, Chico Mendes, caro amico di poche parole e molti fatti, ma il Premio Tigre Juan è anche tuo, e di tutti coloro che continueranno il tuo cammino, il nostro cammino collettivo in difesa di questo mondo, l'unico che abbiamo.”
Quando qualcuno gli chiedeva il motivo della sua scrittura, Luis Sepúlveda diceva: “Dallo scrittore brasiliano Guimarães Rosa ho imparato che raccontare è resistere, e su questa barricata della scrittura io resisto agli assalti della mediocrità planetaria, alla mostruosa proposta unica di esistenza e cultura che incombe sull’umanità. Scrivo per la necessità di resistere davanti all’impero della negazione dei valori che si chiamano fraternità, solidarietà, senso di giustizia. Scrivo perché ho memoria e la coltivo scrivendo della mia gente emarginata, dei miei mondi emarginati, delle mie utopie derise, dei miei gloriosi compagni e compagne che sconfitti in mille battaglie, si rialzano e continuano a prepararsi per le prossime battaglie senza avere paura”.
Senza avere paura.