Insaf, Alessia, Marya, Anna, Sabrine, Ihsane, Ana Laura e Rabia. Sono giovani, in gamba, piene di sogni, italiane. Anche se nessun documento lo attesta formalmente. "Il nostro paese", in prima tv stasera (4 settembre) su Doc Tre Rai Tre, è un viaggio nell’Italia di oggi, alla scoperta delle vite di otto donne che sono parte integrante della nostra popolazione, ma che la legge considera straniere.
Matteo Parisini, autore e regista del film prodotto da Ladoc, com'è nato questo progetto?
Mi sono interessato all'argomento dopo che la proposta di legge sullo Ius culturae non è passata al Senato, nel 2017. Quello che mi ha colpito fin da subito è che entrambe le parti, favorevoli e non favorevoli, trattavano l'argomento come una battaglia politica, quando in realtà quella che bisognerebbe fare è una battaglia civile, a prescindere dallo schieramento politico, perché la cittadinanza per questi ragazzi è un diritto. Da qui siamo partiti e assieme al produttore Lorenzo Cioffi abbiamo cercato una narrazione diversa, senza proclami e senza posizioni ideologicamente preconcette.
Cosa l'ha spinta a scegliere di raccontare il punto di vista femminile su questo tema?
Non è una scelta che ho fatto in partenza, ma è maturata nel corso degli incontri che ho fatto per scegliere le storie da raccontare. Solitamente questi ragazzi completano il ciclo di studi arrivando alla laurea, quando devono entrare nel mondo del lavoro e quando devono realizzare la propria identità, si scontrano con la burocrazia per ottenere la cittadinanza. Quello che viene richiesto per ottenerla è un reddito che loro ovviamente non possono avere, perché fino a quel momento hanno studiato. Le ragazze che ho scelto raccontavano bene questo concetto, mostrando la loro voglia di non mollare per raggiungere quel foglio di carta, che è solo un passaggio per la loro realizzazione personale, perché poi hanno altre battaglie da combattere. Ad esempio fare accettare a chi ti sta intorno di essere una donna con un doppia identità, che si vuole realizzare in un paese che non la vuole, a prescindere dal foglio di carta.
Le protagoniste del film sono in un certo senso "bloccate nel mezzo", sia politicamente che emotivamente. Cos'è che a loro manca di più, rispetto alla condizione del "non essere italiane, pur essendolo"?
La cosa che manca di più a tutte non è il foglio di carta che attesta la cittadinanza, anche se ovviamente è importante, ma è il fatto di non essere accettate per quelle che sono. Sono ragazze che hanno una doppia identità, e questo molte volte viene visto come un ostacolo, a loro viene richiesto di essere al cento per cento italiane. Loro rivendicano la loro doppia identità come una ricchezza da donare anche agli altri, per comprendere meglio il mondo che stiamo vivendo.
Per ognuna di loro, non avere la cittadinanza italiana vuol dire forse dover rinunciare a qualcosa di importante: un sogno, un progetto, un obiettivo.
No, nel senso che per loro non esiste la parola rinuncia, sono donne combattive, per non scomparire raggiungono livelli elevati in quello che stanno facendo. Sicuramente sono limitate dal non avere la cittadinanza italiana, ma questo in realtà lo vedono solo come un ostacolo da superare per raggiungere l'obiettivo, che prima o poi verrà raggiunto a prescindere da tutto.
Da anni si discute del tema in politica e nella società civile, senza essere ancora arrivati a mettere un punto. Girando questo film, si è fatto un'idea di quali siano le ragioni?
Secondo me non si è mai arrivati a mettere un punto perché questi ragazzi, in fondo, sono sempre stati usati per scopi politici. I partiti che si sono interessati al tema non hanno mai avuto il coraggio di portarlo fino in fondo per la paura di perdere voti. Finché ci sarà questa impostazione, non si arriverà mai a una soluzione. La cittadinanza per questi ragazzi è un diritto, ed è una battaglia civile quella che si deve fare, a prescindere dallo schieramento politico.
Otto donne "straniere in patria" e diverse città italiane. Questo film è stata forse anche l'occasione per guardare la provincia italiana, da Nord a Sud, con occhi diversi: i loro?
Questo film a tratti si potrebbe ascoltarlo senza vederlo, sentire queste ragazze parlare senza vedere il colore della pelle. Così si capisce all'istante come i loro dialetti, da Nord a Sud, siano la prova che in realtà nella provincia italiana esistono storie di convivenza e inserimento sociale, molto più frequenti di quanto venga raccontato.