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Lido di Venezia, la 68esima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica è ai nastri di partenza. E come sempre in laguna, anche nel 2011 il Festival riflette sui principali nodi economici e sociali che ci riguardano, non solo in Occidente: ai tempi della crisi economica, nelle pieghe della selezione e delle star, il cinema impegnato conquista ampio spazio. Il piatto è ricco e variegato: dall'immigrazione allo sfruttamento della donna, dalla politica americana alle rivolte arabe e l'Iran, gli spunti toccano tutte le sezioni dal concorso agli eventi speciali.
Si parte in Concorso con Terraferma di Emanuele Crialese. Il film del regista romano (ormai affermato dopo Respiro e Nuovomondo) affronta a viso aperto uno dei nodi più dolorosi dell'attualità: l'immigrazione clandestina, il tragico viaggio degli stranieri verso le coste italiane. Lo sbarco nell'isola siciliana di Linosa da parte di migranti africani - ricostruito nel film - rimanda direttamente alla situazione di Lampedusa. Non a caso l'attrice non professionista scelta da Crialese, Timnit T., è una donna eritrea realmente sopravvissuta al naufragio di un barcone, avvenuto un anno fa nel Canale di Sicilia.
Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud avevano già illustrato la condizione della donna in Iran nel film di animazione Persepolis. Stavolta tornano con Chicken with Plums, lungometraggio con attori veri, che racconta la Teheran del 1958: la storia segue la parabola di un suonatore che si avvicina alla morte, sullo sfondo politico dei cambiamenti voluti dall'ayatollah Kohmeini.
Ma non c'è solo un approccio diretto per toccare i nodi contemporanei, spesso si usa lo strumento dei generi cinematografici per arrivare a queste tematiche. Se Clooney sceglie il thriller per smascherare la corruzione nella politica americana (Le Idi di marzo), allora, il grande cineasta di Hong Kong Johnnie To torna al Lido con Life without principle, noir totalmente ambientato nel mondo della finanza.
Quando si guarda alle altre sezioni, poi, le pellicole a sfondo sociale aumentano ancora. Fuori Concorso c'è Il villaggio di cartone di Ermanno Olmi, sempre sull'immigrazione: nella metafora dell'autore bergamasco, una chiesa dismessa diventa rifugio per un gruppo di clandestini disperati e in fuga. La natura è il cuore del lavoro dei cineasti francesi Claude Nuridsany e Marie Perrenou: dopo Genesis, quest'anno tornano con il documentario La Clé des Champs, dove le particolarità dell'ambiente che ci circonda sono osservate dagli occhi di due bambini.
In cartellone non mancano le rivolte arabe: Tahrir, documentario di Stefano Savona, racconta la protesta contro Mubarak con epicentro la grande piazza del Cairo, attraverso opinioni e interviste alla gente comune. Nella tradizionale sezione Orizzonti, il protagonista diventa addirittura Ratzinger: in Die Herde des Herrn (Il gregge del Signore) il tedesco Romuald Karmakar raccoglie la voci dei fedeli, per ricostruire i giorni del 2005 che vanno dalla scomparsa di Giovanni Paolo II all'elezione di Benedetto XVI.
Documentario illustre è quello di Jonathan Demme: I'm Caroline Parker segue la vicenda della donna del titolo, afroamericana di New Orleans, che con forza e determinazione cerca di ricostruire la sua vita precedente all'uragano Katrina del 2005. Primo obiettivo: trovare un alloggio per vivere. Lo sfruttamento della donna e la prostituzione dominano Whores' Glory: il documentarista austriaco Michael Glawogger viaggia per diversi paesi (Thailandia, Bangladesh, Messico) per indagare sul mondo del sesso a pagamento.
Molti sarebbero i titoli ancora da segnalare, come il documentario Cuba nell'epoca di Obama a cura di Gianni Minà. Oppure Missione di pace di Francesco Lagi: la spedizione dei militari italiani nei Balcani, colpiti dalle guerre in ex Jugoslavia, non vedrà esattamente "la pace" come protagonista.
Ma tra tutti, impossibile ignorare l'evento speciale nell'ultimo giorno della Mostra (10 settembre), This is not a film di Jafar Panahi e Mojtaba Mirtahmas. Il caso internazionale di Jafar Panahi è esploso il 2 marzo 2010: il regista iraniano è stato arrestato e condannato a sei anni di reclusione per aver partecipato alle manifestazioni contro il regime di Ahmadinejad. Il documentario, girato insieme al suo assistente, mostra Panahi nella sua abitazione in attesa della sentenza: egli racconta la situazione del paese e del cinema iraniano. Poco dopo le riprese il regista è stato condotto nella prigione di Teheran.
Insomma il Festival conferma il suo impegno e non risparmia nulla, neanche i temi più difficili e spinosi. Una selezione riassunta così dal direttore Marco Müller: "Ci sono fantasmagorie che richiedono allo spettatore di tornare fanciullo. Ma ci sono anche film del reale che ci costringono a fare i conti con il mondo così com'è, non come vorremmo che fosse".