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Un grande piano per contrastare lo sfruttamento dei lavoratori migranti in agricoltura. Si è concluso ieri (14 dicembre) il progetto Agree (Agricoltural job rights to end foreign workers explotation), guidato dalla Fondazione Giuseppe Di Vittorio e Cittalia – Fondazione Anci Ricerche, cofinanziato dalla Commissione europea nell'ambito del programma Prevention of and fight against crime. Le organizzazioni si sono date appuntamento a Roma, nella Sala Santi della Cgil Nazionale, per fare il punto finale sull'iniziativa.
La conferenza finale del progetto Agree si è chiusa con le conclusioni del presidente della Fondazione Di Vittorio, Fulvio Fammoni, che ha ricordato le proposte che il progetto e i suoi partner hanno portato nella discussione odierna, seguita da una platea formata da rappresentanti delle istituzioni europee, nazionali, dei sindacati, delle associazioni, degli enti locali. E' quanto si legge nella nota della Fondazione.
"L'importanza del progetto Agree”, ha detto Leonardo Domenici, presidente della Fondazione Cittalia-Anci Ricerche, nella sua introduzione,” sta innanzitutto nel far prendere coscienza che lo sfruttamento dei lavoratori stranieri in agricoltura rappresenta una emergenza sociale che va contrastata con determinazione. I lavoratori stranieri impiegati in agricoltura in Italia - ha ricordato ancora Domenici - sono 400.000, provenienti da 170 paesi e rappresentano il 25% delle ore dichiarate nel settore agricolo.Occorre quindi da un lato favorire il principio etico nella scelta dei prodotti da acquistare, adottando un bollino che certifichi tale condizione e dall'altro contrastare con determinazione e azioni concrete il fenomeno del caporalato e il grave sfruttamento lavorativo".
Secondo Domenici "è necessario inoltre procedere all'adozione della direttiva europea 52 del 2009 e lavorare con le parti sociali europee pergiungere a una definizione condivisa di sfruttamento lavorativo e elaborare - conclude - azioni congiunte in difesa dei più vulnerabili tra i lavoratori".
Nel suo intervento, la segreteria generale della Flai Cgil Stefania Crogi, ha sottolineato come a livello legislativo grazie all'azione della Flai e della Cgil tutta dal 2011 il caporalato è un reato penale da punire con il carcere (art. 603 bis. C.p.); recentemente la confisca dei beni è stata prevista anche per chi incorre nel reato previsto dal 603bis; ed infine il Consiglio dei ministri ha licenziato un ddl che recepisce almeno in parte le nostre proposte di contrasto al caporalato attraverso un collocamento al lavoro legale e trasparente.
“Su questi punti - ha proseguito Crogi - intendiamo proseguire la mobilitazione ed incalzare politica ed istituzioni per raggiungere i nostri obiettivi. Il settore dell'agricoltura e dell'agroalimentare complessivamente, che ha tenuto in questi anni di crisi, non può essere anche il settore nel quale si consumano fenomeni di sfruttamento e negazione continua dei diritti dei lavoratori. Inoltre - ha concluso - è per noi un connubio imprescindibile qualità dei prodotti e qualità del lavoro. Senza un lavoro libero dallo sfruttamento, dignitoso ed equamente retribuito non ci può essere cibo di qualità”.
Le proposte che sono state avanzate dal progetto Agree riguardano dunque sia la regolamentazione dell’immigrazione con il necessario maggior coordinamento e integrazione delle politiche degli Stati membri, sia la piena attuazione negli ordinamenti nazionali delle direttive 59/2009 e 32/2011, il miglioramento dei sistemi che possano far emergere lo sfruttamento dei lavoratori migranti, il sostegno all’organizzazione della produzione rispettosa della legge attraverso misure mirate come, appunto, il prodotto etico, un maggior contrasto all’intermediazione illegale (in Italia il caporalato, in Spagna i cap de colla) nel reclutamento della manodopera.
Il progetto ha rappresentato quindi uno strumento certamente di analisi, di diffusione della conoscenza della realtà di sfruttamento e maggiori consapevolezze tra gli attori del territorio e la società civile , per sviluppare strategie e azioni volte a ridurre e contrastare questo fenomeno.
“Il problema va affrontato nei singoli Stati - ha detto Fulvio Fammoni - ma sempre di più emerge la necessità di un maggior coordinamento delle politiche degli Stati europei a partire da un'idea comune per la definizione di grave sfruttamento lavorativo, contro l'intermediazione illegale di manodopera e per la regolarizzazione delle persone prive di permesso di soggiorno che perdono il lavoro o che denunciano casi di sfruttamento illegale".