Gasato per l’inno di giubilo cantato dai media unificati, che attribuiscono alla cura Renzi la miracolosa ripresa dell’economia (in realtà, un modesto più 0,3 per cento trimestrale, la metà della Francia e solo un terzo della Spagna), il presidente del Consiglio sale in cattedra per piegare la resistenza dei professori. Traviati dai gufi e dai loro “slogan ideologici”, i docenti non hanno ancora compreso la bellezza della buona scuola, che trasformerà l’Italia in una “superpotenza culturale”.
Mentre spiega la bella legge, Renzi corregge i “difetti di comunicazione” del governo. Sono lontani i giorni in cui la polizia accarezzava la testa degli “squadristi” che lo contestavano all’ingresso della Festa dell’Unità di Bologna. Ora il presidente del Consiglio vuole il dialogo, e sceglie la strada di un lungo monologo per entrare nella testa dei contestatori, senza quei perturbatori della quiete che sono i sindacati.
Con messaggi ammiccanti (“la buona scuola c’è già. Siete voi”), il premier cerca di sedurre i professori deviati dai cattivi agitatori: un governo celere, non necessariamente è il governo della celere. Con simboli di un vecchio mondo antico (“la maestra, il prete e il maresciallo”), e fughe in inglesismi ipermoderni (“skills professionali”, “pensare multitasking”), Renzi cerca di pacificare il mondo per lui ingrato della scuola.
È vero che i professori sanno “allargare il cuore con una poesia”, ma Renzi è un tipo prosaico e mette loro in bella mostra la vile grana: “Più soldi agli insegnanti”. Si tratta, in verità, di una mancia di almeno 14 euro al mese, condizionata però a una valutazione. Ciascun professore è esaminato da una commissione (preside, qualche genitore e alcuni studenti) che decide se il candidato merita o no uno scatto stipendiale.
Quella che si chiama meritocrazia (“il merito non è una parolaccia”). E che non può che prevedere meccanismi di valutazione selettiva dei docenti (Renzi lo dice a ritmo pop: “No al nessuno mi può giudicare”) per scatenare una sana competizione tra i professori, esortati a coltivare “la rabbia contro i colleghi” pelandroni.
È sempre in ragione di sua maestà il merito, che il sindaco-preside assume poteri di assunzione dei docenti da un albo provinciale. Gli esclusi restano a disposizione e, se per tre anni nessuno si ricorda di loro per una cattedra o una supplenza, devono semplicemente cambiare aria. Confusi da “polemiche e boicottaggi”, le teste dure dei docenti non capiscono quanto oro sta per affluire nelle loro tasche e in quelle di tutte le scuole italiche.
Nell’età dell’oro ormai alle porte, ogni scuola (dice Renzi, da Milano centro a Scampia) deve “aprirsi al territorio”. E pazienza se le opportunità offerte dai luoghi siano alquanto diverse. Ma il governo rimedia alle asperità dei territori con la possibilità delle famiglie di finanziare le ristrutturazioni (con grandi agevolazioni fiscali) e di destinare il loro 5 per mille a uno specifico istituto. Che importa se una scuola è frequentata da lavoratori e incapienti che il 5 per mille neppure devono destinarlo e l’altra dai figli dei ricchi che hanno rinunciato alle scuole paritarie, coperte di sgravi e detrazioni fiscali?
Agli studenti Renzi suggerisce di aderire alla sua proposta di eguaglianza nelle opportunità (ciascuno “abbia le possibilità di giocarsi le proprie carte”). Siamo alla retorica antica, la più triviale e falsa, quella delle iniziative “affinché siano messi tutti nella stessa posizione di partenza”. E quindi soldi alle scuole dei ricchi, e abbandono per quelle dei poveri.
Fa cilecca il ridente statista di Rignano quando tratta gli insegnanti come dei somari, che – per capire il loro destino – pendono dalle labbra rischiaratrici del professore dei professori e considera gli studenti come degli sprovveduti pronti a cedere dinanzi alle sue chiacchiere insipide sul merito, sulla “centralità nel futuro”.
Scuola, siamo alla retorica antica, la più triviale e falsa
Agli studenti il presidente del Consiglio suggerisce di aderire alla sua proposta di eguaglianza nelle opportunità. E quindi soldi agli istituti dei ricchi, abbandono per quelli dei poveri DI MICHELE PROSPERO
19 maggio 2015 • 00:00